Vanny e le altre in attesa dei baci

Manuela è una tredicenne come tante. Ha il motorino, il fidanzatino, lavora per una parrucchiera. Però in casa non la considerano molto. Tra un litigio con la madre e l’altro, un giorno si finge “profetessa”. Dimostra i suoi poteri recuperando la testa della statua della piazza, nascosta da un gruppo di ragazzini. La Madonna le ha indicato in sogno dove trovarla, dice. Da quel momento diventa una celebrità in tutta Librino.

Nel film “I baci mai dati”, si vede molto il quartiere periferico catanese, anzi è proprio il protagonista assoluto. Manuela ci passa le sue giornate, in mezzo ad adulti superstiziosi e irresponsabili, e a coetanei “sbandati”. Tutti, grandi e piccoli, le chiedono un miracolo: la partecipazione al Grande Fratello, soldi, il lavoro, ma che sia “di tutto riposo”. E lei è perplessa e disincantata, ma infine intrappolata in questo nuovo ruolo. Persino sfruttata per far soldi dalla madre. Non c’è giudizio morale, ma solo una sorta di fotografia deformata della realtà nel film di Roberta Torre. Ma qualcosa non convince.

Librino è davvero così? Siamo andati a chiederlo a Vanny, Giorgio, Francesca, Concita, Davide, Desireé e Anna, tredicenni che a Librino ci vivono davvero. Allora, chiediamo, se Manuela avesse avuto davvero i poteri, voi ci sareste andati a chiederle un miracolo?

«No, nessun miracolo». Disincantati come la protagonista, tutti concordano sull’inutilità del gesto. Vanny e Giorgio, forse i più “maturi” del gruppo, dicono «è solo superstizione». Concita e Francesca esclamano un timido «no», così come Anna, che ha invece un modo di fare irruento e diretto. «Non avrei chiesto a lei il miracolo: anche Gesù ti ascolta» mi dice Desireé, mentre Davide, idolo delle ragazzine perché è bravissimo a giocare a calcio, ha l’aria di sfida. «Avrei chiesto qualcosa che non posso dire», sorride sotto i baffi che ancora non ci sono. Le compagnette ridono maliziose, ma lui, un po’ imbarazzato da questa reazione, fa capire che vorrebbe solo essere più alto.

Loro, i ragazzi di Librino, vedendo un film non si lasciano condizionare dai sottotesti, dalle citazioni, dalla fotografia e da altri aspetti “accademici”. Giudicano quel che vedono, senza scadere nel “già detto”. E si è detto molto. Ad esempio, che “I baci mai dati” è un film originale.

«Originale? Ma avete mai ascoltato una canzone napoletana? Di originale nel film non c’è nulla. Senza parlare del fatto che una ragazzina che credeva di fare i miracoli a San Giorgio fino a qualche mese fa c’era davvero». Vanny sembra quasi una critica cinematografica alle prime armi, va giù diretta nel giudizio. Il suo commento è chiaro e conciso: «Rispecchia abbastanza bene la realtà di Librino. Però è noiosissimo».

Ben diverso dal giudizio dei critici, giornalisti di mezza età che vivono una vita pigra spendendo parole misurate sui quotidiani nazionali e qualche sito di appassionati cinefili. “Un film coraggioso, forse a tratti un po’ lento, ma certamente riuscito”: nelle recensioni usano tutti gli stessi aggettivi. «La trama forse non è così originale», direbbero loro «con alcuni cliché quali il rapporto conflittuale madre-figlia, il marito disoccupato, la noiosa periferia italiana a tratti caricaturale». E via con le citazioni di Pasolini, De Sica, Amelio e magari, se il critico è in vena di sfoggio culturale, di Sergio Citti. Forse il critico aggiungerebbe che tutti questi aspetti noti al pubblico rendono più digeribile la “novità” di una profetessa trecicenne. Insomma, Vanny ci conferma che i critici sbagliano su tutta la linea.

I tredicenni vanno al cinema come si faceva una volta: scelgono un film dal titolo. Se si chiama “I baci mai dati”, qualche love story nel mezzo ci sarà. Si aspettano un film d’amore. Le ragazze sono deluse, tutte si lamentano perché «il titolo non c’entra nulla». Giorgio e Davide anche, però ufficialmente al cinema a vederlo ci sono andati perché l’Istituto Cirino La Rosa, dove passano tutti i pomeriggi della settimana, quel venerdì ha scelto di portarli a vedere “il film che parla di Librino”. «Meglio un film per femmine, che stare a casa». Ma dopo averlo visto, e aver preso la delusione, cosa è rimasto? Chi ha capito cosa sono questi baci mai dati?

Vanny, la cinefila del gruppo, ci riflette un po’ e mi dice «non sono sicura, forse si riferisce al fatto che la mamma alla fine si riconcilia con la figlia e le dà i baci?». Concita invece ha capito benissimo il senso del film, ma questo non l’aiuta certo ad appianare la sua delusione «si chiama “i baci mai dati” perché l’affetto della mamma manca, ma poi alla fine capisce e la riempie di baci».

Giorgio, Francesca, Concita e Desireé non ci hanno pensato, per loro sono “baci mai arrivati” e basta. Davide e Anna liquidano la domanda con un «no comment», motivato da un «dormivamo, troppo noioso».

Quasi nessuno si avventura in giudizi sul significato profondo del film: si voleva raccontare una storia, punto e basta. Solo Giorgio ci prova «è una critica alla religione, infatti anche il prete si approfitta della messa in scena di Manuela». Il suo giudizio è in totale disaccordo con quello di Francesca, che obietta «non finge, lei scopre di avere davvero questi poteri». La confusione sul “vero” e il “finto” è data dal finale del film, in generale la parte più apprezzata, perché inattesa: «mi ha colpito il finale, non mi aspettavo il miracolo», dicono un po’ tutti. Manuela un miracolo lo fa davvero, proprio quando lei e la madre si sono finalmente riconciliate, e hanno deciso di smettere con la finzione.

Le domande che faccio ai ragazzi sono tante: quale scena vi ha colpito di più? Voi che ci vivete, pensate che il film rispecchi la realtà del quartiere? I ragazzi di Librino si comportano davvero come nel film? Le risposte arrivano un po’ sull’una, un po’ sull’altra, non sono abituati a dire la propria opinione. Giorgio e Francesca puntano sul tema sociale «mi ha colpito la scena dei ragazzi che acquistano la droga, ci sono molte realtà simili a Librino».

Vanny ha particolarmente impresso il rapporto madre-figlia «mi ha colpito il finale, perché la mamma se ne è sempre fregata, ma poi si riconciliano». Concita è rimasta affascinata da Beppe Fiorello «mi è piaciuto molto, la parte del padre disoccupato è molto credibile», mentre Anna rompe gli indugi e finalmente commenta, dando un giudizio brutalmente schietto su una delle poche scene scabrose «mi piaciu a scena quannu a matri viri ca chiddu ‘ndo telefonino s’azzicava macari a so figghia».

Davide, continua invece nel suo atteggiamento di sfida, ci riflette un po’ sopra e mi risponde, diretto «se i ragazzi di Librino sono come nel film? E io che ne so, mica li conosco tutti». Spiegatogli che volevo un giudizio più “generale” su quel che ha visto, il tono della sua risposta cambia, ma la sostanza no. «Per molte cose rispecchia Librino, ma non ho una scena preferita: ho dormito, cosa doveva colpirmi. Al massimo posso consigliare a chi va a vederlo di portarsi un cuscino».

Una delle prime scene del film fa vedere dei ragazzini che giocano a calcio e rompono la testa della statua in piazza, per poi nasconderla. Una delle poche scene che agli adulti può sembrare realistica, gli adolescenti veri la trovano “stupida”. Perché, chiedo, voi al loro posto cosa avreste fatto?

«L’avissi lassatu ddocu» la testa, cioé «l’avrei lasciata là», dice Anna: «c’erano meno probabilità di essere vista, e di essere incolpata». I suoi compagni sono tutti d’accordo. Addirittura Vanny e Giorgio rispondono «avrei detto di averla rotta, in fondo era solo un incidente». Perché nascondere quello che si fa non volendo?

Leandro Perrotta

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