C’è chi chiama in causa l’arte del remix, paragonando la tesi ad un pezzo anni ’80; chi è pigro e questa faticaccia di scrivere la tesi proprio non gli va giù; chi si ribella al concetto di plagio perché le parole sono di tutti e di nessuno.
Ma prima che si arrivi alle coperte patchwork e alla Pop Art, ai Centoni virgiliani e alle Vite del Vasari, analizziamo un’ipotesi: e se gli studenti non la sapessero scrivere la tesi? Pochi ammetterebbero una tale incompetenza ma è un dato di fatto: gli studenti scrivono poco e male. Tuttavia non è solo colpa loro, le Università, e ancor prima le scuole, hanno grosse responsabilità non offrendo i mezzi adeguati per una formazione solida che permetta agli studenti una sicura padronanza degli strumenti di scrittura. Il laureando (fatta eccezione per chi è naturalmente incline alla scrittura), dunque, si trova ad affrontare la stesura della tesi come un ostacolo che può diventare insormontabile. Potrebbe, dunque, essere l’insicurezza a spingere lo studente a commettere il plagio? Lo abbiamo chiesto alla Professoressa Gabriella Alfieri, docente di Lingua italiana e comunicazione e Storia della lingua italiana presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania.
Professoressa, quanto è importante la capacità di pianificazione di un testo nella vita professionale di un giovane laureato?
«Fondamentale. Il testo è importante perché è il frutto di un progetto complesso, che prevede l’organizzazione dei contenuti, la cura della forma, l’adeguamento dello stile al contesto e al destinatario.»
Pensa che i mezzi messi a disposizione dall’Università siano sufficienti per l’acquisizione di una competenza scritta adeguata?
«Spesso la scuola non riesce a dare una preparazione testuale appropriata per cui sarebbe fondamentale che l’Università offrisse agli studenti un insegnamento dedicato a questo settore, indipendentemente dalla facoltà che essi frequentano. Purtroppo oggi non ci sono mezzi sufficienti per il raggiungimento di questo scopo.»
Cos’è, o meglio, cos’era il Labis, di cui lei è stata coordinatrice?
«Il Labis era un Laboratorio di italiano scritto gratuito organizzato dall’Università di Catania. Esso era destinato agli studenti di tutte le facoltà ed era suddiviso in classi: le facoltà umanistiche venivano più o meno accorpate e invece quelle scientifiche venivano raggruppate a parte proprio per consentire di dare la capacità di costruire testi adeguati alla singola pertinenza professionale. Ripeto, purtroppo le facoltà in sé, comprese quelle di Lingue e di Lettere, non riescono da sole a dare una preparazione completa in fatto di scrittura. I laboratori, dunque, erano una risorsa, una grande ricchezza formativa.»
Quali erano le lacune più profonde degli studenti? Quali i risultati ottenuti?
«Le lacune più profonde degli studenti riguardavano soprattutto la scarsa appropriatezza lessicale e terminologica: utilizzavano un lessico troppo banale e quindi inadeguato alle situazioni complesse che la comunicazione professionale richiede. Un’altra grande lacuna era la punteggiatura: abusavano della virgola come se fosse l’unico segno di interpunzione e, addirittura, capitava la mettessero tra soggetto e complemento; non conoscevano il punto e virgola e usavano di rado i due punti. Con circa 40 ore suddivise in un mese, è ovvio che il Labis non riusciva a colmare tutte le lacune, ma quanto meno forniva gli strumenti per conoscere i propri punti deboli e per lavorarci su. Alla fine del laboratorio facevamo anche una premiazione simbolica regalando libri o vocabolari stimolando così la competizione per far crescere le motivazioni dei ragazzi.»
Perché il Labis è stato sospeso?
«Purtroppo è facile immaginare il perché, è attualità. A causa dei tagli all’università i corsi sono stati aboliti già da quattro anni. È stato un grosso impoverimento formativo. Tante le mail e le chiamate che mi sollecitavano a fare qualcosa per ricostituire i corsi! Io ho cercato di fare il possibile e l’impossibile ma non c’è stato niente da fare. Data la situazione attuale, la cosa si è arenata e non si prevedono miglioramenti, ma chissà… Io ci riproverò perché sono tenace, tornerò alla carica con il prossimo rettore. Speriamo si possa ricominciare a offrire questi corsi per dare agli studenti un segnale positivo, l’Università ha il dovere di farlo.»
Cosa ne pensa del fenomeno del “copia e incolla”? Cosa direbbe ad un laureando che in questo momento sta copiando materiale dal web con lo scopo di incollarlo sulla propria tesi?
«Pensano di fare i furbi ma si fanno solo del male. Proprio per la carenza di occasioni di scrittura all’interno delle facoltà, la tesi si presenta come l’unica opportunità di crescita che così viene bruciata. Gli direi che sta facendo una cosa stupida perché sta sprecando la possibilità di appassionarsi a una ricerca, di conquistare autonomia culturale e di progettare un testo. E tutto ciò è autolesionistico e controproducente. Gli studenti, soprattutto oggi, devono capire che è fondamentale dotarsi di strumenti competitivi; risparmiare un mese scopiazzando non serve a nulla. È ovvio che molti laureandi possono trovarsi in difficoltà davanti a un lavoro complesso quale è la stesura della tesi. A loro dico di confrontarsi con il proprio docente di riferimento, di ammettere di avere dei dubbi, dei problemi e di non vergognarsi di chiedere aiuto. Un altro sostegno potrebbero essere i manuali di scrittura: ce ne sono di ottimi in vendita a prezzi modici e alcuni sono corredati da esercizi di auto correzione. Si all’autodisciplina, all’autoeducazione ma con il sussidio di materiale didattico e di quello del relatore.»
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