Dopo la candidatura d’agosto alla Regione da parte del rettore Fabrizio Micari, l’Università di Palermo torna ad affrontare l’anno accademico. E lo fa con la protesta di questa mattina di una cinquantina di studenti del Collettivo Universitario Autonomo: un presidio che si è formato all’interno della Facoltà di Ingegneria per poi spostarsi all’ingresso dell’edificio 19, il Polodidattico. L’occasione è l‘apertura dei test d’ammissione ai corsi di laurea a numero programmato. Gli studenti autonomi hanno ribadito la propria contrarietà al numero chiuso e hanno manifestato il proprio sostegno allo sciopero di professori e ricercatori iniziato da pochi giorni e indetto a livello nazionale dal Movimento per la dignità della docenza universitaria.
Un blocco attuato da oltre cinquemila docenti universitari in tutta Italia, e che ha visto una discreta adesione anche nel capoluogo siciliano, i quali si astengono dal tenere appelli d’esame nella sessione di settembre per contestare il blocco degli scatti stipendiali e per rivendicare la dignità della docenza universitaria. A scatenare ulteriormente la rabbia del mondo accademico anche le recenti dichiarazioni della ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli che, dopo la partecipazione al Forum Ambrosetti di Cernobbio, alla domande dei cronisti sul perché gli studenti italiani siano al penultimo posto in Europa nel numero di coloro che conseguono la laurea ha risposto che «una delle cause maggiori è la provenienza dalle famiglie con basso reddito che stimolano poco per la formazione universitaria di alto livello». Una visione chiaramente classista, insomma, che è stata contestata anche a Palermo.
«Da anni ormai il numero chiuso, strumento con cui si limita la possibilità ad accedere al corso di laurea desiderato – dice spiega Gianmarco Codraro, studente di ingegneria del Collettivo Universitario Autonomo – è il dispositivo attraverso cui i vertici dell’università attuano una preselezione che innesca in tutti noi una concezione meritocratica e competitiva del mondo della formazione. Questo, inoltre, serve da scorciatoia all’istituzione universitaria per nascondere e non affrontare le difficoltà che si presenterebbero nell’accogliere più studenti di quelli previsti. Strutture inadeguate e spesso inagibili, aule non abbastanza capienti e forti carenze nell’offerta formativa e nei servizi, come sale studio, biblioteche, alloggi per studenti fuori sede e navette, sono le caratteristiche di un ateneo soggetto al generale progetto di definanziamento strutturale delle università del Sud. È infatti evidente l’aumento, anno dopo anno, del divario con le università del Nord a cui il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca destina la maggior parte dei fondi statali. Scelta chiaramente legata alla maggiore produttività di determinati settori lavorativi al Nord».
In uno scenario così delineato non sorprende poi che oltre cinquantamila studenti abbiano preferito studiare proprio in quegli atenei che consentono migliori garanzie e opportunità. «Sostenere lo sciopero dei professori – continua Codraro – ci dà la possibilità di aprire un momento di confronto più ampio in cui studenti e docenti insieme possano mettere in discussione le politiche predatorie portate avanti negli ultimi anni dal MIUR. Il blocco degli scatti stipendiali è un tassello importante che si aggiunge al piano di definanziamento delle università portato avanti proprio dal Ministero».
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