Unict, seminario antimafia in nome di Scidà Pioletti: «Catania dovrebbe chiedergli scusa»

Ci sarà un seminario permanente sull’antimafia all’interno dell’università di Catania, intitolato a Giambattista Scidà. L’annuncio è stato dato ieri pomeriggio da Antonio Pioletti, delegato del rettore Giacomo Pignataro per i rapporti con il personale amministrativo, docente di Filologia romanza e, soprattutto, curatore del volume Eresie, presentato ieri in un incontro organizzato dall’associazione Libera al monastero dei Benedettini. Il libro prende il nome da una rubrica che il grande magistrato – meglio conosciuto con il soprannome Titta, morto due anni fa e per vent’anni presidente del Tribunale dei minori di Catania – teneva sulla rivista Città D’Utopia, curata proprio dal docente negli anni ’80. «Raccoglie i suoi articoli, scritti con la prosa ricercata che lo contraddistingueva – spiega Pioletti – parlano del problema dei minori, ma anche del caso Catania. Città che dovrebbe chiedere scusa a Scidà», afferma il docente all’interno dell’aula A1 dei Benedettini. «Scidà, che si definiva militante della democrazia, fu il primo a capire l’importanza della cittadinanza attiva, della presenza nei quartieri. Ed è per questo che al corso chiederemo la partecipazione delle associazioni cittadine», conclude Pioletti tra gli applausi.

Soddisfatto dell’annuncio anche il giornalista Riccardo Orioles, curatore della postfazione al volume e direttore dei Siciliani Giovani. «Scidà fu il primo a spingere perché rinascesse questo giornale – afferma Orioles – Ed è per questo che accolgo con piacere la presa di responsabilità dell’Università di Catania». Ma Orioles lancia anche un appello: «Dobbiamo coltivare la memoria, Scidà non deve essere un monumento, si ricordino le cose che ha fatto». Perché, continua il giornalista, «non venga dimenticato come il professore Giuseppe D’Urso (direttore del diparitmento di Urbanistica dell’Università di Catania negli anni ’80, oppositore del progetto della nuova Pretura, ndr), o dei ragazzi di Democrazia proletaria, che distribuivano volantini in cui si accusava il mafioso Nitto Santapaola».

«Scidà fu il primo, in un periodo tabù nel quale “la mafia a Catania non esisteva”, a chiedere pubblicamente l’arresto di Santapaola. E lo fece davanti al Consiglio comunale», ricorda Mimmo Palermo, membro dell’associazione Siciliani per la legalità, fondata proprio da Scidà. Per anni Palermo è stato giudice onorario del tribunale dei minori. «Per le sue parole sulla città, per quello che fece al tribunale dei minori, per aver portato in città gli Istituti educativo assistenziali, Scidà fu mandato anche davanti al Consiglio superiore della magistratura – ricorda Palermo – Per tutto questo, la nostra associazione cambierà nome: da Siciliani per la legalità ad associazione Giambattista Scidà».

«Quando fondammo il Gapa, ormai 25 anni fa, Scidà fu il primo a venire. Eravamo in un locale occupato, in via delle Calcare. Grazie a lui il quartiere imparò a conoscerci ed apprezzarci», racconta Giovanni Caruso, ex fotografo del Giornale del Sud e fondatore dei Giovani assolutamente per agire, il Gapa, che oggi si trova in via Cordai. «Quando penso che i suoi scritti sono ancora attuali, con gli stessi problemi, però mi inquieto: Scidà ha lasciato una grande orma sulla città. Oggi noi aspettiamo che il sindaco di Catania, Enzo Bianco, ci dia una risposta ufficiale, e non ufficiosa come già avvenuto, alla nostra richiesta di utilizzare due beni confiscati alla mafia per farne una casa delle associazioni e una sede per la stampa libera. Dovrebbe venire nel quartiere a vedere, se è davvero l’amministrazione del cambiamento», conclude Caruso.

Presente anche Maria Randazzo, direttrice dell’Istituto penitenziario minorile di Bicocca. «Per noi ricordare Scidà significà cercare di dare dignità ai ragazzi, colpevoli anche di gravissimi reati. Offrire loro opportunità di crescita, con misure alternative alla detenzione, come l’avviamento al lavoro con borse: un nostro ragazzo collabora attualmente con Officine Culturali, qui al Monastero dei Benedettini», racconta Randazzo. La direttrice dell’Istituto penitenziario minorile ricorda anche quanto successo a Luciano Bruno: «Venne a tenere il suo spettacolo Librino da noi, i ragazzi si ritrovarono molto nel suo racconto, apprezzandone il coraggio». Ragazzi, quasi uomini, ai quali sono mancate molte cose nella vita. «Ogni anno, quando andiamo sull’Etna, vediamo ragazzi ventenni giocare sulla neve come bambini», conclude Randazzo.

Leandro Perrotta

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