Unict, ai Benedettini partono i Genderlab «E se i ragazzi indossassero la gonna?»

Amanda Palmer che canta contro la rasatura dei genitali. Le note inconfondibili del Rocky horror picture show. Grafici che vedono protagonisti giocattoli dell’infanzia come Barbie e Gi Joe. La voce della docente che chiede, provocatoria: «E se voi ragazzi oggi foste venuti con la gonna?». Certi pomeriggi, all’ex monastero dei Benedettini di Catania, basta passare davanti all’aula 67 per pensare di aver sbagliato posto. E, forse, scandalizzarsi un po’. Impossibile immaginare che quello che si sta svolgendo dentro è un laboratorio universitario. Impensabile fino a qualche mese fa, quando l’ateneo ha deciso di lanciare una serie di attività e materie, interdisciplinari, dedicate alle didattica di genere. Così, dopo i corsi a Scienze politiche, è partito anche il primo dei GenderlabImmaginare il genere: maschile, femminile e oltre nella cultura contemporanea, laboratori affidati al dipartimento di Scienze umanistiche dell’università di Catania.

L’aula inizia a riempirsi con un quarto d’ora di anticipo. Alle 18, circa in trenta hanno preso posto. Quasi la metà sono ragazzi. Studenti e studentesse a cui è diretto il laboratorio, «ma hanno chiesto di partecipare anche docenti di scuola e persone non iscritte all’università», spiega soddisfatta Stefania Arcara, docente di Anglistica di Unict e coordinatrice dei laboratori. L’ora e mezza scorre veloce tra foto storiche, manifesti, vignette umoristiche e musica, con un pizzico di teoria quanto basta. C’è chi sorride, chi prende appunti e chi interviene. Per rispondere a una domanda della docente ma anche solo per proporre uno spunto di riflessione. Che continua online, nella pagina Facebook apposita.

«Durante la prima lezione abbiamo parlato di genere e discriminazioni – spiega Viviana, 20 anni, studentessa di Lettere classiche – Tutti concetti non nuovi per me, ma interessanti». Diversi sono i motivi che hanno spinto ragazze e ragazzi a partecipare, anche da aree non umanistiche, come Farmacia. Per qualcuno che cercava un modo non troppo noioso di racimolare qualche credito universitario, ce ne sono diversi intenzionati invece ad approfondire la materia. «Io studio Filosofia e mi sono iscritto al laboratorio per interesse scientifico, ma adesso quello che sento mi sta cambiando – spiega un ragazzo, tra i più attenti in classe – Ci sono cose che diamo spesso per scontate e invece qui capisco che non è così».

Come i ruoli imposti a uomini e donne, oggi come ieri. Uno spettro dell’identità di genere che sembra andare da Barbie a Gi Joe, come mostra una diapositiva in aula, ma senza tenere conto delle infinite sfumature intermedie. «Tutti i discorsi che affrontiamo non servono a dire “Poverine le donne, che brutto il patriarcato”, ma a fare un’analisi critica di quali sono i discorsi di potere che creano una gerarchia tra i due generi», spiega la docente. Che conduce la classe in un percorso attraverso la storia, senza dimenticare i riferimenti culturali dominanti. E’ così che si passa dalla legge sul delitto d’onore abolita solo pochi decenni fa – «Non deve stupire che oggi si parli di femminicidio se fino agli anni ’80 era lo Stato stesso a legittimarlo» – al suffragismo universale. «Non chiamatele suffragette, vi prego. So che tutti dicono sempre così, ma si tratta di un diminutivo svilente. Il modo giusto è suffragiste, come comunisti dal Comunismo e così via», spiega Arcara, riferendosi al movimento inglese di emancipazione femminile a cavallo tra l’800 e il ‘900, mentre sul proiettore scorrono rare foto storiche.

E dagli scorsi secoli si arriva ai giorni nostri. Quando si viene insuttate per strade. Un modo folkloristico per definire una comune forma di molestie, per lo più verbale, a base di complimenti sul proprio aspetto fisico da perfetti sconosciuti. «Quando mi capita mi diverto a rispondere con un “Pure tu!” – racconta una studentessa – Vedo che restano spiazzati, non si aspettano una risposta». Un seme di dibattito che cresce quando il discorso coinvolge in prima persona anche i ragazzi presenti, chiamati a definire l’idea di mascolinità nella cultura dominante. Che, secondo studentesse e studenti del Genderlab, è definita nell’ordine da: forza fisica, indipendenza economica, controllo nel manifestare le proprie emozioni, linguaggio e atteggiamento disinibito, buone prestazioni sessuali, competitività. Tutti aspetti che sembrano evidenti nella foto mostrata dalla docente alla classe: una sorta di cowboy, dallo sguardo fiero e fucile in spalla. Solo che si tratta di una donna. Uno dei tanti colpi di scena riservati dal Genderlab.

Finora, per il mese di dicembre, a tenere le lezioni è stata Stefania Arcara, docente di Anglistica all’università etnea e coordinatrice del laboratorio. I suoi incontri, dedicati all’immaginario di genere e al gender-bending – chi trasgredisce al ruolo imposto dal suo genere sessuale – nella cultura rock e pop, specie anglo-americana, hanno fatto da apri pista ad altri due moduli. Dopo la pausa natalizia, infatti, il laboratorio riprenderà a gennaio con Davide De Rose, membro dell’associazione Zeronove, che tratterà il rapporto tra le donne e lo spazio urbano. Soprattutto quello percorso in bici, simbolo di liberazione per le donne del passato. In chiusura toccherà poi ad Anita Fabiani, docente di Ispanistica, concludere il percorso con il suo ciclo di incontri Declin-azioni: fare genere in Spagna, tra le opere del regista Pedro Almodóvar e della filosofa Beatriz Preciado. E subito dopo verranno attivati gli altri laboratori.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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