“La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza” dice Veet Sandeh, citando il poeta inglese Blake, per spiegare che la sua visione del mondo e la consapevolezza di ciò che è derivano da esperienze ed eventi che acquistano valore in virtù della metamorfosi che hanno provocato nel suo animo. Sandeh è autrice ed interprete del docu-drama “Metamorfosi”, proiettato al Nievskij venerdì 11 dicembre dall’Open Mind di Catania, centro di iniziativa gay, lesbica, bisessuale e trans. La pellicola, prodotta dalla DWAMI Meditation Promoter, fondata nel 1998 dalla stessa autrice, ha riscosso apprezzamenti a “Divergenti”, il festival italiano su tematiche transgender a Bologna nel 2008.
“Metamorfosi” è un docu-drama autobiografico in cui Sandeh narra le fasi che hanno caratterizzato la sua trasformazione, indicando alcuni degli episodi più significativi della sua vita. Nata Gaetano Orazio Calogero, racconta di aver manifestato all’età di 17 anni l’intenzione di diventare ed essere riconosciuto dalla società come Alessia Montemezzani. Una decisione che l’ha portata alla graduale emarginazione nel lavoro e al successivo licenziamento. La prostituzione è allora diventata una scelta obbligata per la sopravvivenza e si è accompagnata all’uso di droghe, unico rifugio e consolazione in un mondo senza accoglienza né stimoli.
Queste esperienze hanno determinato l’impegno politico e sociale di Sandeh come presidente del Movimento Italiano Transessuali di Torino e responsabile Cgil dello sportello trans, per difendere e tutelare il diritto al lavoro delle persone transessuali.
Quando ha scoperto di aver contratto il virus dell’Hiv, Sandeh ha rifiutato “il ruolo di vittima che passa la vita a crogiolarsi nella sua sofferenza e che si spegne lentamente”, ha spiegato. Ha invece scelto di diventare una sorta di “guerriero di pace” che lotta per affermare la sua estrema volontà di vivere nella consapevolezza di ciò che il suo futuro le riserva: la morte.
Ma da Alessia a Veet Sandeh c’è stato un altro passaggio, un’altra rinuncia: quella al riconoscimento da parte della società, la fine dell’impegno politico, il superamento della dimensione del transgenderismo ed il raggiungimento di una condizione di vita che si esprime nella sua essenza, senza ruoli, identificazioni e determinazioni di genere.
Sandeh definisce il suo lavoro “una comunicazione cuore a cuore”, nel quale la denuncia politica e sociale si pone in secondo piano rispetto alla sua volontà di comunicare attraverso parole e immagini che le appartengono e che ne simboleggiano l’essenza. Da questo scaturisce l’attenzione per i dettagli, i colori vivaci e i suoni che ci proiettano nella sua anima che, come lei stessa afferma, “non ha identificazione religiosa e va al di là delle chiese organizzate”.
Un’artista e amante della vita che stupisce per la forza ed il coraggio con cui racconta il suo passato doloroso, Veet Sadeh conclude rivolgendo un accorato invito ad assaporare la vita e a godere del momento presente, “senza curarsi del passato e del futuro, ma vivendo nel mondo senza appartenere al mondo”.
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