Una silenziosa dignità

L’evento dovrà svolgersi con assoluta dignità”, c’è scritto sul volantino. Appuntamento per l’11 maggio alle 21.30, una fiaccolata per ricordare Pierpaolo Pulvirenti, studente, morto al suo primo giorno di lavoro temporaneo da operaio.

Al centro di Catania c’è una strana calma, è un serata tranquilla. Piazza Stesicoro è vuota, poche persone arrivano, poche persone vanno, forse tornano a casa dopo una giornata di lavoro. Un grande gruppo, duecento persone forse, è davanti l’anfiteatro romano, mi avvicino. “Ciao, come stai?”, ripetuto tante volte, mentre incontri persone di cui non ricordi il nome, ma che in questo momento ti fanno sentire un po’ a casa. Perché ci si sente un po’ fuoriposto, in una serata così. Aspetti, senti l’imbarazzo, ti guardi intorno. Ci sono dei ragazzi, hanno tutti una maglietta uguale. Sopra ci sono disegnati i funghetti del videogioco SuperMario, e una scritta che dice “Pierpaolo”

C’è anche Flavio, anche lui visto una volta sola, ma mi faccio largo per salutarlo. La folla aumenta a ogni minuto, e prima di raggiungerlo incrocio tante altre persone, tra queste una ragazza. Sembra davvero contenta di vedermi, nonostante l’abbia incontrata per pochi minuti, una volta sola, la stessa di Flavio. Mi bacia sulla guancia, come se fossimo vecchi amici “non so nemmeno il tuo nome”, le dico, “Stefania”. Sorride, così come Flavio quando gli chiedo “e la maglietta, chi l’ha disegnata?” “Lui!”. Guardo la maglietta, poi gli occhi di Stefania e Flavio, sono i fratelli di Pierpaolo. Li guardo per immaginare il ragazzo che non ho mai visto, e cerco altri dettagli tra le persone. In una ragazza che tiene un cartello “ti amo, senza troppi se e senza troppi ma”. E nei ragazzi che distribuiscono le candele da accendere, che sono certamente suoi amici. Si capisce dai gesti mentre te la porgono, contemporaneamente con rispetto e confidenza. Il signor Salvatore Pulvirenti, il padre di Pierpaolo, a fine serata dirà “non mi sento di aver perso un figlio”, perché ci sono tante persone che lo fanno vivere ancora.

Sono quasi le 22.00, ci sono cinquecento persone con una candela accesa in piazza Stesicoro, a un mese esatto dall’incidente nella raffineria Saras. L’eco di una tromba risuona tra i palazzi, una fanfara, “il silenzio”, quello che si sente nelle caserme, quello “fuori dall’ordinanza”. È il segnale di via, il corteo di candele si muove verso via Etnea. Quanti sono i cartelli colorati? Pierpa, Pippi, come lo chiamano sui cartelli, era un ragazzo davvero fuori dall’ordinario, a giudicare da quanti amici sono arrivati questa sera per lui. Amici, parenti, e tanti, appunto, come me. Quanti, questa sera, sono presenti ma non lo hanno mai conosciuto? In strada per rispetto, forse perché Pierpaolo lo considerano un simbolo, un ragazzo che sa fare tante cose e bene, che studia con impegno, che supera le difficoltà. Un esempio positivo. E che, nonostante tutto, muore in fabbrica senza colpe. Sì, sono anche le preghiere di Milena Basile, sua madre, in testa al corteo, che mi toccano e mi fanno sentire parte di qualcosa che non mi appartiene. Ma alla fine, in qualche modo, chi è Pierpaolo lo sento.

Non ho preso la candela che mi è stata offerta tante volte, “ho la macchina fotografica”, dico. E guardare i volti delle persone, prima di scattare, ti costringe a origliare come una vecchia pettegola: “io lo conoscevo a stento, era un ragazzo simpatico”, dice Fabrizio, un ragazzo che studia farmacia; “io conosco sua zia, siamo colleghe” una signora lo ripeteva di continuo, quasi a giustificarsi per essere là. E tanti ragazzi, che passavano dalla tristezza alle risate in pochi secondi. Persone che ti colpiscono, come una coppia di ragazzi: lui è magrissimo e alto, sembra un militare sull’attenti, lei ha il trucco un po’ sbavato dalle lacrime, e ogni tanto guarda il cielo. C’è chi prega, chi cammina a testa bassa, e ci sono tanti bambini. C’è anche un ragazzo con la stampella in mezzo al gruppo, ha gli occhi sorridenti. È Gabriele Serranò, ferito nello stesso incidente di Pierpaolo. S’è alzato dal letto da qualche giorno, è vivo per miracolo, e ora cammina al passo con gli altri. In piazza Università ho l’occasione di scambiare due parole con lui, ma gli dico solo “avevo solo il piacere di salutarti”. Non è momento per le interviste. Anche lui sorride, e si avvia per tornare a casa. Una serata piena di persone normali, oneste, volti di una Catania educata che mi sembrava non esistesse più.

Facciamo, con il corteo, il percorso che fanno i fedeli durante la Festa di Sant’Agata. Da via Etnea saliamo via San Giuliano, poi giriamo per via Crociferi, un luogo simbolico per tanti, credenti o no. Davanti ad ogni chiesa intoniamo un Padre nostro, un sentito atto di abbandono a qualcosa di imperscrutabile e spontaneo. O forse non così imperscrutabile, perché poco prima, davanti alla Camera del Lavoro, il silenzio s’è fatto irreale. Il “click” della macchina fotografica è quasi un rumore molesto.

Il silenzio, fuori dall’ordinario, che Catania dona per due ore a Pierpaolo. Il centro si popola di persone, anche il mercoledì a Catania c’è movida, o così si dice. Parlano e scherzano, i catanesi, poi vedono il gruppo. Si fermano, e sottovoce mi chiedono “per cosa è questa manifestazione?”. Lo spiego a  tanti, anche a dei turisti americani ubriachi in via Sangiuliano, che vanno via in auto pochi secondi prima del corteo, in modo sobrio; lo spiego a dei simpatici giapponesi, naturalmente con macchina fotografica, in Via Etnea. Non capiscono molto ma sorridono tanto. Lo spiego a dei turisti veneti in piazza San Francesco, a un venditore di rose, a tanti gruppetti di ragazzi, tra il Duomo e piazza Università. Un signore, straniero, si commuove e piange, o almeno a me fa piacere pensare che le sue lacrime fossero per Pierpaolo. Ma tutti capiscono, non hanno bisogno di chiedere. Guardano ancora, aspettano pazientemente in coda se sono dentro l’auto, commentano tra di loro e poi zitti, per cinque minuti, il tempo di far passare il corteo. I bambini non piangono, i cani non abbaiano. Persino l’Etna aspetta la mezzanotte per iniziare la sua, spettacolare, notte di fuoco. La serata è di Pierpaolo.

La processione si è conclusa in piazza Università. Siamo in cerchio, con le candele in mano. I genitori di Pierpaolo ringraziano tutti. L’altoparlante che hanno portato non funziona bene, ma la piazza è piena e silenziosa, le parole sono chiare anche senza amplificazione. Gli striscioni e le candele, possiamo posarli per terra. Possiamo perché mi sento partecipe anche senza, e ne tocco stupidamente una, per vedere l‘effetto che fa, in una serata nella quale non ho voluto tenerla, pur di fotografare dei momenti speciali. Stupidamente, perché mi brucio un dito, ma è una specie di pizzicotto dentro il sogno, ci sono davvero. Ricomincio a scattare. Poco prima Flavio aveva detto  “Mettete una firma sullo striscione, lo appenderemo nella sua stanza”, e così facciamo. Quasi l’una di notte, quando comincia a svuotarsi la piazza. Chi resta aiuta a raccogliere le candele da terra, che vengono buttate in dei grandi sacchi neri. A parte un po’ di cera rimasta in terra, è tutto perfettamente pulito. Un gruppetto di consiglieri comunali esce quasi contemporaneamente all’inizio delle pulizie dal comune, sghignazzando. Sono i primi rumori della serata, il contrasto è troppo forte per non notarli: una ragazza, che tutta la sera ha tenuto uno dei cartelli, dice ad alta voce “le candele, dovevamo metterle nella raccolta differenziata”. Pierpaolo le somigliava certamente.

Leandro Perrotta

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