Una Sicilia da rifondare

Che i panni sporchi si debbano lavare in casa, è un saggio e sempre attuale consiglio, valido però fino a quando non ci si accorge che la sporcizia sia tale da potere fare a meno di ricorrere all’esterno per chiedere, giustamente indignati, perché le cose qui, in Sicilia, debbano andare in un certo modo mentre in altri luoghi le cose vanno in tutt’altro modo e con beneficio della gente. Squarciando il velo dell’ipocrisia che molti vogliono stendere sulle vicende siciliane, bisogna avere il coraggio di dire che le cose da noi non vanno, che la Sicilia, con tutto l’amore che possiamo portare per la nostra terra, diviene ogni giorno di più difficile da abitare, che le tensioni al futuro non ci stanno, che i sentimenti prevalenti sono la sfiducia, la disaffezione, il disamore. E come non possono essere questi i sentimenti che circolano nelle nostre genti assistendo allo spettacolo inverecondo della prevaricazione, dell’abuso, dello spreco, dell’ignobile confusione fra pubblico e privato, che manifestano i destinatari della delega ad amministrare?
Leggere, ad esempio, che i costi della politica sono di gran lunga superiori al resto del Paese, mi pare che sia notizia che non alimenti speranza. Prendere atto che la nostra Autonomia regionale, piuttosto che lo strumento di sviluppo a misura delle esigenze del territorio, sia divenuta non solo mezzo per lo spreco di risorse, ma barriera ai processi di riforma che il Paese ha avviato, non credo che faccia bene a chi aspetta, proprio dalla Regione, visto che è titolare della maggior parte delle competenze di governo del territorio, risposte serie alle proprie “legittime” domande. Acquisire, come dato reale, che una certa degenerata prassi politica, non la politica che è termine nobile ed è ben altra cosa, ha occupato un po’ tutto e che asfissia la gente con i ricatti, le sopraffazioni e con le intimidazioni, magari servendosi di luoghi comuni di cui la gente ha ormai le tasche piene, non rende felici quanti invece aspirano a spazi di libertà o vogliono mettere in campo le proprie capacità.
Rendersi conto del fallimento sostanziale delle classi dirigenti siciliane, non solo regionali ma anche locali – e nel mucchio non metto solo i politici ma metto dentro i burocrati, gran parte di scarsa qualità e quasi sempre targati, metto dentro gli imprenditori più o meno veri, metto dentro i sindacalisti che, con la scusa di difendere i lavoratori, hanno costruito potentati personali, metto dentro molti intellettuali che praticano il conformismo dell’anticonformismo – non mi pare che possa essere un buon antidoto contro la depressione di chi si trova in situazioni pressoché disperate.
Altro che parole, progetti, programmi ! Qui c’è tutto da ricostruire, ab imis come dicevano i latini, c’è tutto da rifondare proprio dalle più profonde fondamenta. Ecco allora perché, nonostante il consiglio di qualche amico, che da buon padre di famiglia consiglia la cautela del lavare i panni sporchi in casa, mi piace mettere in piazza, con la serietà che mi contraddistingue e approfittando dello spazio che mi si concede, per farne motivo di ulteriore sdegno, lo spettacolo indegno che questa Sicilia del terzo millennio continua ad offrire.

 

Pasquale Hamel

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