«E’ un episodio incredibile. Non è possibile che si rischi la vita andando a studiare». Così il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, ha commentato la sparatoria di ieri mattina, in cui è stata ferita una studentessa, Laura Salafia, 34 anni. Eppure è avvenuta a Catania, non una città normale. «Un fatto gravissimo che ci riporta ai tempi bui dei cento morti ammazzati all’anno» ha ricordato Salvatore Petrucci, segretario regionale dei Comunisti italiani.
Una violenza mafiosa mai sopita che dall’anno scorso ha ricominciato a far sentire il suono delle pallottole. Prima in periferia, dove fa meno rumore. Adesso davanti all’università, trasformandosi in un boato, anche e soprattutto a uso politico. «Il diritto a vivere una vita normale dove lo studio e il lavoro non possa essere messo in discussione da azioni criminali deve essere garantito a tutti, a Nord come a Sud del Paese» ha dichiarato Pierluigi Bersani, segretario nazionale del Partito Democratico. Un rimprovero, non proprio velato, a «chi ricopre un ruolo di responsabilità nella vita pubblica».
«Non vorrei far polemica politica – gli fa eco Giovanni Burtone, componente del Pd della commissione parlamentare antimafia – però al sindaco chiedo di aprire gli occhi e di uscire dalle stanze in cui la sua fragile maggioranza lo costringe a stare e di guardare il degrado in cui è piombata questa città». Perché, quando accadono fatti come quello di ieri, non è possibile ignorarli. Persino la fitta indifferenza di cui la città si riveste negli altri giorni dell’anno sembra un cappotto troppo pesante. Che ogni tanto va smesso.
Pronta è arrivata la dichiarazione del sindaco, Raffaele Stancanelli: «Le istituzioni ai vari livelli sapranno rispondere per come meritano a chi vigliaccamente attenta alla sicurezza di cittadini onesti e laboriosi, vittime innocenti di una barbarie violenta che sembra volere fare tornare Catania agli anni bui». Una risposta «chiara e netta» che assumerà le fattezze del ministro dell’Interno Roberto Maroni, mercoledì a Catania per una riunione del comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza.
Perché l’episodio è accaduto in un momento particolare, «mentre la manovra [del governo ndr] taglia ulteriormente i fondi alle forze dell’ordine» ha aggiunto Burtone. «Ormai è chiaro a tutti quanto fosse inutile il patto per la Sicurezza voluto da Prodi e quanto siano solo apparenza i soldati impiegati di pattuglia» si è inserito nella polemica il coordinatore provinciale de La Destra-Alleanza siciliana, Ruggero Razza.
Forse a scandalizzare di più è stata la sfacciataggine di una criminalità organizzata onnipresente, ma fino all’altro ieri (esattamente una settimana fa l’agguato mortale contro Maurizio Signorino a San Giovanni Galermo, che potrebbe essere all’origine del tentato regolamento di conti di ieri) almeno con il buon gusto di essere discreta. «Sta tornando il far west degli anni ’80 quando in questa città si aveva paura di uscire, quando era buia e melmosa – ha dichiarato Luca Spataro, segretario del Pd etneo -. Se si torna a sparare tranquillamente, in piena mattinata davanti ad una facoltà o in una importante via cittadina significa che la criminalità è tornata in maniera prepotente a mostrarsi senza paura».
E proprio per questo, ieri sera, Spataro è stato tra gli organizzatori di un sit-in «contro la mafia, per Laura» proprio in piazza Dante, luogo della sparatoria. Perché un luogo dove accadono episodi simili «è una città che fa schifo ed è ora che la gente inizi ad indignarsi e a dire basta» ha spiegato. «Sveglia Catania» è il motto. Anche quello un po’ polveroso, che ricorda il «Catania svegliati, Catania sdegnati» all’indomani dell’omicidio del commissario Filippo Raciti. Era il 2007. Intanto, non è cambiato niente. Catania continua a dormire, soltanto leggermente disturbata dalle dichiarazioni a tempo determinato. «Dovremmo impegnarci ogni giorno, non soltanto quando le pistole sparano» è il commento di molti utenti su Facebook, dove l’iniziativa è stata lanciata.
Ma intanto si pensa a Laura e alle sue condizioni di salute. A quella pallottola tra le vertebre. «La affidiamo ai medici e alle preghiere», ha detto Burtone. Un po’ come Catania.
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