Un misterioso furto di gioielli pignorati Sotto accusa l’Istituto di vendite giudiziarie

Gioielli sotto pignoramento rubati dall’Istituto che avrebbe dovuto custodirli. Una denuncia, da parte del direttore Gianluca Princiotto, che viene formalizzata due settimane dopo il furto, e incompleta. A dirlo sono gli stessi carabinieri del comando provinciale di Catania. «Viene elencato minuziosamente quanto asportato dal magazzino (cioè cravatte, scarpe, vino ad esempio, ndr), omettendo di riferire il contenuto della cassaforte, ovvero i preziosi oggetto della procedura». Il tutto mentre un imprenditore catanese, Riccardo Condorelli, aspetta da cinque anni di ottenere quanto gli spetta.

Questa storia inizia nel 2009 e getta un’ombra sull’Istituto di vendite giudiziarie del distretto della corte d’appello di Catania, ente privato che lavora in appalto con i tribunali etneo e di Caltanissetta. Anche perché il caso della sparizione dei gioielli denunciato da Condorelli sembrerebbe non essere isolato. «Ho raccolto informazioni su molti altri episodi simili al mio», denuncia l’imprenditore. «Abbiamo registrato due furti negli ultimi dieci anni», precisa Princiotto. Il giovane gioielliere ha denunciato l’Istituto ma il gip ha archiviato il caso, rilevando tuttavia alcune anomalie nell’operato del direttore Princiotto, nel dettaglio «l’omessa l’indicazione specifica dei beni sottratti», come si legge nel provvedimento di archiviazione. «Avvieremo una causa civile per ottenere il risarcimento», annuncia il legale Andrea Di Mauro.

Nel 2006 Condorelli – che oggi si occupa di produzione e commercializzazione all’ingrosso di preziosi – apre insieme a un socio una gioielleria a Misterbianco. «Aveva un format particolare – spiega – con il bar dentro, speravamo di avviare un franchising, ma nel giro di un paio d’anni capimmo che il progetto non funzionava». Nel novembre del 2008 vendono l’azienda alla società Euroservizi e finanza. «E’ l’inizio della fine – racconta l’imprenditore – il prezzo viene concordato in 250mila euro: 60mila ci vengono pagati all’atto della cessione dal notaio. La restante parte viene promessa con una serie di titoli da 30mila euro a scadenza trimestrale con una fideiussione assicurativa come garanzia. Solo che la fideiussione era falsa e i titoli non sono stati mai pagati».

Inizia la procedura per il recupero delle somme: dopo varie peripezie a ottobre del 2009 il tribunale dispone il decreto ingiuntivo e a febbraio del 2010 il pignoramento dei beni della Euroservizi e finanza che nel frattempo è stata messa in liquidazione. Vengono pignorati preziosi per il valore di 113mila euro, trasferiti lo stesso giorno all’Istituto di vendite giudiziarie. La stima dell’ufficiale giudiziario però è sopravvalutata e la prima asta frutta appena undicimila euro. Non ci sono compratori, quindi il tribunale, su richiesta di Condorelli, nomina un altro perito per valutare nuovamente il valore dei gioielli. Nel frattempo però il fascicolo si perde nei meandri del tribunale, passano due anni prima che venga ritrovato e si possa procedere a una nuova asta. A quel punto l’avvocato chiede l’assegnazione diretta dei gioielli al suo assistito, senza passare per una vendita.

«Proprio in una di quelle udienze, siamo a febbraio del 2013, il direttore dell’Istituto mi informa oralmente che forse i preziosi di cui si discuteva erano parte della refurtiva sottratta da ignoti ladri nel maggio del 2012». Princiotto comunica ufficialmente il furto al Tribunale soltanto il 29 marzo del 2013, circa dieci mesi dopo l’accaduto verificato nel weekend compreso tra l’11 e il 14 maggio del 2012 nella sede dell’Istituto in piazza Risorgimento. Ma c’è di più. Il direttore chiama i carabinieri subito dopo aver scoperto lo scasso, gli uomini dell’Arma intervengono lo stesso giorno, ma Princiotto deposita formale denuncia soltanto il 28 maggio, 14 giorni dopo. Circostanza sottolineata nella nota che i carabinieri inviano al giudice Bernabò Di Stefano, giudice dell’esecuzione del pignoramento a seguito della prima indagine scaturita su segnalazione dello stesso magistrato. Dall’Arma, inoltre, si evidenzia come Princiotto presenti un elenco minuzioso dei beni di poco valore sottratti dal magazzino (mille cravatte, 184 completi da donna, cinque vestiti di varie marche, ricambi per moto e auto, vini Nero d’Avola) ma omette quello dei gioielli rubati dalla cassaforte. Né il direttore ha inviato un’integrazione alla sua originaria denuncia, come peraltro si era impegnato a fare.

«Le due settimane trascorse prima della denuncia mi sono servite per fare l’inventario degli oggetti mancanti», si difende Princiotto, che accusa il carabiniere che ha redatto la nota di aver scritto un’informazione sbagliata. «I carabinieri sono venuti a fare gli accertamenti il giorno stesso in cui li ho chiamati, non il 28 dopo la denuncia come si legge nella nota». In merito alla mancanza di un elenco preciso dei preziosi rubati, il direttore afferma: «Gli oggetti custoditi dall’Istituto rimandano sempre a un verbale di pignoramento redatto dell’ufficiale giudiziario. E’ un elenco a disposizione di tutti, di facile reperimento. Solo quello che è semplice elencare viene menzionato specificatamente nella denuncia. D’altronde – continua, riferendosi ai gioielli – si trattava di cianfrusaglie, vecchie e orribili, spazzatura insomma che la seconda perizia valutò in totale 40mila euro».

All’Istituto di vigilanza di piazza Risorgimento non ci sono telecamere di sorveglianza. «Siamo in una brutta zona – spiega Princiotto – ma preferiamo non metterle perché abbiamo un’assicurazione che, nel caso in cui venisse identificato il ladro, non coprirebbe le spese. In quel caso il risarcimento andrebbe chiesto al malvivente. Lo facciamo per i creditori, così possono essere meglio garantiti». Il direttore quindi giura di essere «dispiaciuto, ma – aggiunge – la vittima sono io, che ho subito un furto con scasso».

Il procedimento penale per valutare eventuali ipotesi di reato nel suo comportamento è stato archiviato e la procedura di recupero delle somme spettanti a Condorelli chiusa. «Ancora oggi non abbiamo recuperato un euro, mentre ne abbiamo tirati fuori migliaia in spese legali  – conclude l’imprenditore – Inoltre c’è il rischio che i soldi dell’assicurazione finiscano nelle tasche dei proprietari originari, cioè chi ci ha truffato. Ma in questa storia andrò fino in fondo anche perché mi risulta che il mio caso sia quasi una prassi, fatta di aste giudiziarie caratterizzate da tempi infiniti e oggetti che misteriosamente scompaiono».

Redazione

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