Vito Fontana ha 32 anni ed è un medico con una storia particolare. Il giorno degli attentati a Bruxelles si trovava a lavoro in un ospedale della capitale belga ed è stato in prima linea anche nei giorni successivi. «È stato il primario a informarci dell’esplosione avvenuta all’aeroporto Zaventem, abbiamo pensato subito a un attentato terroristico – racconta a MeridioNews -. Ho avuto il tempo di rassicurare i miei parenti, e dopo sono andato verso la sala d’urgenza. Prima di entrare ho visto il primo ferito: era ancora sveglio, ma dei suoi arti inferiori non rimanevano che brandelli di carne».
Vito è un ragazzo marsalese, da pochi mesi a Bruxelles, dove lavora come anestesista presso l’Hopital Erasme. «Ho deciso di venire qui perché questo ospedale è un ottimo centro per la terapia intensiva. Sono molto attenti alla formazione, ci sono molte più risorse sia nel campo clinico che nella ricerca». Tornando con il pensiero al giorno in cui l’Isis ha attaccato la città, uccidendo 34 persone, il coinvolgimento emotivo è ancora ai massimi livelli. «Ci trovavamo in una situazione nuova, nessuno era preparato a questo, e senza un lavoro di squadra nessuno sarebbe riuscito a fronteggiare quell’emergenza – continua il medico -. Ce l’abbiamo fatto grazie a una eccellente coordinazione tra infermieri, medici, personale sanitario».
Il terrore per gli attacchi all’aeroporto e alla stazione della metropolitana hanno scatenato gli allarmi per nuovi attentati. Come nel caso di un allarme bomba all’ospedale St. Pierre. In quei momenti i cellulari non prendevano. «I pazienti erano spesso irriconoscibili, da protocollo ognuno è stato chiamato con un codice alfanumerico – prosegue Fontana -. Non ti nascondo che ho faticato a mantenere la lucidità, nessuno di noi riusciva a dire una parola, lavoravamo in silenzio».
I giorni successivi tutti – pazienti e personale medico – hanno incontrato gli psicologi. Con l’obiettivo di liberarsi dalla tensione di quel giorno e trovare le parole per spiegare a se stessi ciò che avevano vissuto. «Bruxelles in questi giorni è spettrale, i mezzi pubblici sono vuoti, nonostante i controlli da parte dei militari – spiega -. Non si può sempre pensare al peggio, ma è chiaro che l’atmosfera è cambiata. La città è sotto assedio – ammette il medico marsalese – probabilmente per chi vive a Tel Aviv questo è normale, ma per chi è a Bruxelles è tutto nuovo».
Nonostante in questa settimana il tema dell’integrazione è messo in discussione, Fontana sottolinea che la multiculturalità è un elemento a cui non si può rinunciare. «La bellezza di Bruxelles sta nella sua non identità, qui si è quel che si vuole. Ma l’altra faccia della medaglia – ammette – è l’emarginazione. Ci sono quartieri che somigliano a ghetti e di sicuro adesso la linea di confine tra il mondo arabo-musulmano e occidentale rischia di essere più marcata».
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