Rosalba Musumeci ha reso propria materia d’espressione l’arte digitale. Presenta tre serie di opere per un unico percorso, per una produzione grafica dell’interiorità. Ad aprire l’iter è il volto dell’artista nei ‘Profili digitali I’ e ‘Profili digitali II’, dove il secondo è rielaborazione del primo. La diapositiva riprende il profilo della giovane autrice in un auto, trasfigurata da colori accesi che la avvolgono in un abbraccio generante un forte contrasto cromatico col colorito giallo spento del suo volto, d’altronde in consonanza con la realtà giallognola che si scorge dal finestrino. La placidità della sua espressione, e un elemento così comune quale è l’auto, sono minacciati da quest’ondata di colori; un magma che nella seconda immagine si veste di colori più scuri riversatisi sul viso dell’artista, divenuto nero con i pochi dettagli grigi di occhi, naso e bocca. Quella che era solo una minaccia sconvolge ora la tranquillità di un mondo quotidiano.
E non si tratta di un pericolo esterno, ma di un’angoscia proveniente dalla realtà recondita dell’inconscio che quando permette alle sue immagini obnubilate di riemergere non può non produrre cambiamenti nel modo di percepire la realtà esteriore. Dei segni bianchi, iniziali di nomi di persone, sfuggono all’oscurità del quadro, come a rappresentare dei punti fissi, stabili punti-luce nella sua vita.
Centro dell’opera rimane la soggettività anche nei ‘Self portraits crisis’, cinque pannelli, in due dei quali ad essere rappresentata è la mano dell’artista, negli altri tre l’artista stessa. La forma della mano viene resa irriconoscibile da una fascia dalla fantasia klimtiana di vari altri colori e da un nero che ne dissolve i contorni e che dipinge sulla sua pelle le consuete iniziali dei nomi. Nella seconda versione i colori sono rielaborati e la mano inghiottita sempre più dal buio. I tre quadri della serie sono diverse versioni dello stesso ritratto, o meglio una progressione dello stesso oggetto artistico. L’immagine dell’artista dai colori evanescenti emerge dallo sfondo scuro come se fosse una figura spettrale; il lato sinistro del quadro è incorniciato da una striscia di pellicola gialla che conduce sino alle iniziali, onnipresenti nella serie. La pellicola sembra fungere da elemento meta-artistico e svela i materiali adoperati dall’artista: l’opera come artificio.
Procedendo dal primo ‘portrait’ al secondo e dal secondo al terzo, i colori del volto progrediscono verso una colorazione violacea. Il buio si infittisce d’attorno assorbendo la figura umana e la pellicola viene squartata da un taglio longitudinale causato da una forza rosso-fuoco che ne determina la quasi completa distruzione coinvolgendo anche le iniziali bianche che si dissolvono. Uno scorrere di diapositive in cui i sentimenti, gli stati d’animo finiscono per divenire i veri protagonisti; il ritratto difatti è sempre lo stesso, muta invece il “paesaggio” che lo circonda, che non è altro che l’oggettivo correlativo del suo animo, lo schermo su cui la ragazza proietta la propria Interiorità.
Infine ‘Maternità JPG’ e ‘Maternità JPG colors’: una donna dalla trama acquosa nella prima, e dai colori caldi nella seconda, viene ritratta nell’atto di partorire, racchiusa in un ambiente elissoidale che l’accoglie così come l’utero che avvolge il bambino dentro di lei. La madre non ha volto, sembra pura materia plasmata, ma il senso di maternità che esprime è talmente forte che non può non stupire sapere che l’immagine di partenza non è quella di una donna ma di un’orchidea, della quale l’artista ha solamente dissolto i contorni e mutato la consistenza. Quasi a testimonianza che l’uomo è davvero misura di tutte le cose.
[Fino a mercoledì 5 aprile, h.17-19.30, al centro Voltaire di via Scuto 19 – Catania]
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