«Quando i partiti entrano in crisi, si ridipingono la faccia di rosa». L’analisi di quanto sta accadendo per le prossime elezioni regionali in Sicilia, è di Rossana Sampugnaro, docente di Sociologia dei fenomeni politici dell’u
niversità di Catania. Due candidature femminili già annunciate, qualche altro nome ancora soltanto sussurrato. La corsa per le prossime elezioni regionali, sia a destra che a sinistra, si tinge di rosa. È proprio il caso di dirlo visto che a molti, più che una questione di reale parità di genere, sembra una tattica di pinkwashing. Un inglesismo (declinazione del più noto greenwashing) che rende bene l’idea una sorta di femminismo di facciata, quasi una trovata di marketing per cui basta dare una passata con una sfumatura rosata. L’impressione è che a prescindere dagli schieramenti, sia a destra che a sinistra, prima dei nomi si stia ragionando sul sesso del candidato alla carica di presidente (facile, tra l’altro, perché il sostantivo non si declina diversamente al femminile) scegliendo di fare scendere in campo donne in quanto donne.
È il caso di Caterina Chinnici, l’eurodeputata e magistrata – figlia di Rocco Chinnici, il consigliere istruttore ucciso dalla mafia nel 1983 – che è già stata assessora regionale nel governo di Raffaele Lombardo dal 2009 al 2012. Su di lei il Partito democratico ha deciso di puntare tutto per le primarie della coalizione del centrosinistra. «Risponde ad alcune direttrici per noi fondamentali, in primis quello delle donne», ha detto il segretario regionale del Pd Anthony Barbagallo per commentare la sua candidatura. «Io sono convinta che i siciliani siano aperti ad accogliere anche la presidenza della Regione a una donna» ha risposto Chinnici ai microfoni del gruppo Rmb citando anche uno studio fatto in America da cui sarebbe emerso che «le donne sono idonee alla politica perché hanno delle prerogative diverse da quelle degli uomini ma sicuramente utili: sanno ascoltare, hanno empatia, sono brave nella mediazione – elenca la candidata del Pd – si fanno carico dei problemi, si assumono le responsabilità e cercano di individuare le soluzioni».
Anche a destra si spinge sul nome di una donna. A fare l’identikit del candidato ideale è stato il presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè: «Deve essere di Forza Italia, palermitano e donna». Concordanze a parte, è stato lui stesso a fare ironia dicendo che le prime due caratteristiche ce le avrebbe anche lui, mentre «a vista» la terza parrebbe di no. Qui il nome più papabile potrebbe essere quello di Patrizia Monterosso, ex capo di gabinetto di Raffaele Lombardo e presidente della fondazione Federico II. Altro profilo a cui portano gli indizi dell’Indovina chi? di Miccichè è quello di Barbara Cittadini, presidente dell’associazione italiana ospedalità privata (Aiop) e moglie dell’ex deputato regionale e nazionale Dore Misuraca (ex Forza Italia traghettato poi nel Pd). E, infine, è di oggi la notizia che anche Siciliani Liberi, punterà su una donna per la corsa alla presidenza della Regione: l’attrice catanese Eliana Esposito.
«Non è un fenomeno che si sta registrando solo a livello locale – ha analizzato Sampugnaro nel corso della trasmissione Direttora d’Aria – ma è ben più diffuso. E, di questo, si può dare più di una lettura: da una parte, nasce dall’esigenza di ricostruire un’immagine dei partiti segnata dall’apertura nei confronti di una rappresentanza al femminile. Un’altra ipotesi più maliziosa, invece – aggiunge la docente di UniCt – in un mondo politico pieno di inchieste giudiziarie e ombre sui palazzi, in fondo, le donne sono ancora vergini e al di fuori di alcuni meccanismi». Tra l’essere candidate, l’essere elette e l’incidere davvero sulle questioni politiche però c’è molta differenza. «Diverse analisi dei dati del voto hanno fatto emergere – ha spiegato la docente di Sociologia dei fenomeni politici – che investire su una donna non è una garanzia per coinvolgere le altre donne sui temi». In alcuni casi, si limita a essere un incentivo. A dare la differenza, piuttosto, sarebbero dei programmi tagliati anche sulle esigenze delle donne. «Non è sufficiente che siano a capo di un partito – ha concluso Sampugnaro – ma serve che abbiano una prospettiva diversa specie su questioni poco affrontate, per esempio quelli della medicina al femminile». Insomma, non basta un’etichetta serve riempire di contenuti anche alternativi rispetto a quelli già esistenti.
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