Truffa Iacp, il direttore a giudizio L’ente si costituirà parte civile

Separati in aula ma non in casa. Da marzo sarà questa la situazione all’interno dell’Iacp, l’istituto autonomo case popolari di Catania. Al Tribunale, infatti, l’ente si è dichiarato parte offesa nel procedimento per la sua presunta cattiva gestione che vedrà tra gli imputati il direttore dello stesso istituto e tre impiegati. Lo ha deciso ieri il giudice dell’udienza preliminare Francesca Cercone, rinviando a giudizio tutti e 12 gli indagati – a vario titolo – per abuso d’ufficio, truffa e falso ideologico. Una vicenda che, secondo la Corte dei Conti regionale, avrebbe provocato un danno erariale di più di trenta milioni di euro. Oltre al direttore dell’Iacp, Santo Schilirò Rubino, e a tre dipendenti, dovranno risponderne anche il figlio di Schilirò Rubino, Ettore, e altre sette persone che, secondo l’accusa, avrebbero avuto accesso ai servizi dell’ente senza averne i requisiti. Adesso starà al commissario dell’Iacp, Antonio Leone, decidere come proseguire in Tribunale. «L’amministrazione attendeva di conoscere la decisione del giudice – spiega il legale dell’istituto, Tommaso Tamburino – Adesso che la pronuncia c’è stata, sceglierà di conseguenza». La costituzione di parte civile da parte dell’Iacp appare ormai scontata.

Ad anticipare la vicenda era già stata nel 2009 una relazione degli ispettori inviati dalla Regione, che sovrintende l’istituto. Oltre a diversi casi adesso contestati dal pm Andrea Bonomo, tra le pagine si trovano anche le impressioni dei dirigenti della commissione ispettiva sulla gestione Schilirò Rubino, definita «quasi personalistica» e poco trasparente. Il direttore generale ha infatti «accentrato a sé numerose cariche gestionali dell’istituto – si legge sempre nel documento – giustificando tale operato con la mancanza di figure dirigenziali idonee». E ha anche attribuito «incarichi ad alcuni dipendenti a lui legati da vincoli di parentela o di semplice amicizia personale». Come la moglie e la nuora. Eppure Schilirò Rubino è ancora il direttore dell’ente, nonostante il suo incarico sia scaduto lo scorso ottobre.

I fatti al centro dell’indagine della Procura riguardano diversi episodi, dal 2006 al 2010. In diverse occasioni, secondo l’accusa, Santo Schilirò Rubino avrebbe falsato gli atti dell’istituto, coinvolgendo i tre dipendenti. Come quando avrebbe immesso nel sistema dell’ente, insieme a Giuseppe Caruso, responsabile del protocollo informatico dell’Iacp, lettere e richieste con numeri di protocollo falsi – e lasciati appositamente inutilizzati – o precedenti alla loro data reale. Oppure come quando avrebbe stimato insieme ad Adele Fiorello, responsabile del servizio contabilità, una spesa di più di 25mila euro per i lavori di ristrutturazione da fare in una bottega di proprietà dell’Iacp ma affidata al figlio Ettore Schilirò Rubino. Nel documento si autorizzava il figlio del direttore a scalare il costo di queste spese dall’affitto fino all’80 per cento al mese. Una decisione in contrasto con il regolamento dell’ente che consente un recupero massimo del 20 per cento mensile. Senza considerare che, secondo l’accusa, Schilirò Rubino figlio, alla data in cui gli veniva riconosciuto il credito, non aveva ancora effettuato i lavori. Producendo in seguito prove per 3.500 euro soltanto.

A coinvolgere invece sette cittadini sono i casi di sospetta attribuzione di appartamenti Iacp. Il direttore generale avrebbe infatti destinato insieme ad Anna Tusa, capo del servizio utenza dell’istituto e terzo dipendente rinviato a giudizio, diversi alloggi a  persone che non ne avevano diritto, producendo false documentazioni che ne attestavano i requisiti. Ad averne beneficiato, secondo l’accusa, sono stati Nino Santoro, Carmelo Sicali, Mario Tudisco e Agata Romeo per una serie di appartamenti in via Pecorino e Carmela Bergamo e Gaetano Maravigna per delle case in via San Teodoro. A Orazio Sicali, infine, l’Iacp avrebbe persino assegnato un appartamento senza contratto e senza canone d’affitto, nonostante l’uomo avesse un redditto familiare superiore ai limiti imposti dall’istituto e, soprattutto, un appartamento di proprietà.

[Foto di Corscri Daje Tutti! – Cristiano Corsini]

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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