La violenza è uno degli aspetti comportamentali che più caratterizza la specie umana, ma si può considerare anche un elemento di natura biologica? Secondo il prof. Giovanni Costa, ordinario di Etologia nel corso di laurea di Scienze biologiche, «non è possibile, perché lo stupro è violenza vera e propria dipesa da un problema di tipo comportamentale e lontano anni luce dall’essere accomunato al mondo animale». Se n’è discusso nel corso di una delle lezioni d’Ateneo del ciclo “Stop Femminicidio”, organizzato dall’UDI in collaborazione con il Comitato Pari opportunità dell’Università di Catania.
A sostegno della sua tesi, il docente cita il sociologo Erich Fromm che nell’opera Anatomia della distruttività umana afferma che «tra tutti gli animali, l’uomo si differenzia per il fatto di essere un assassino». «La cultura della violenza – continua l’etologo- appartiene all’intero percorso della storia umana, che mostra come l’uomo costruisca appositamente strumenti di tortura con cui poter manifestare sadicamente la sua aggressività, e per averne un’idea chiara, basterà ricordare i metodi utilizzati dall’inquisizione e dal nazismo, responsabile del genocidio ebraico».
La violenza e, in particolar modo, la violenza sessuale è protagonista indiscussa della cronaca quotidiana. “Scuole di violenza” sono spesso gli stessi nuclei familiari, del resto «a confermarci la dimensione di questa realtà – prosegue il docente- sono i dati forniti dai sondaggi che registrano uno stupro per ogni 2,5 minuti in America, considerato oggi tra i paesi più progrediti del mondo».
Tuttavia, in ambito di comportamento sessuale, un confronto con primati è d’obbligo: «la loro sessualità -spiega Costa- è suddivisibile in quattro categorie: la monogamia, la poliginia, la poliandria più rara, e la promiscuità maggiormente diffusa tra gli scimpanzé. Mentre l’uomo, seppur incline alla natura poligama, sceglie la coesione della coppia e una stabile divisione tra ruoli, cosicché il maschio, dalla struttura fisica più robusta, divenne per secoli l’emblema della forza e dell’arte bellica, mentre la donna, dotata di caratteristiche fisiche meno imponenti, assunse il ruolo subordinato della cura della prole e della raccolta di cibo, almeno fin dall’era neolitica».
«Nonostante ci siano alcune affinità – sottolinea il professore- il mondo animale è assolutamente privo dell’efferatezza e della crudeltà, caratteristiche proprie, invece, del genere umano». Certamente, forme di violenza scoppiano anche all’interno del branco «ma –precisa Costa– solo nel caso in cui manca un numero paritario di femmine con la quale potersi accoppiare e procreare, ma in ogni caso, non si uccide mai un proprio simile».
«Bisogna davvero chiedersi- conclude il docente– chi tra l’uomo e la bestia sia davvero l’animale».
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