Torture: il ruolo degli organi di informazione

I recenti fatti avvenuti sui teatri di guerra ancora aperti, in particolare quello che oggi catalizza l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, l’Iraq, ci hanno portato ad interrogarci su ruolo e responsabilità degli organi di informazione che di ciò che accade si fanno veicoli, e qualche volta filtri.

Che le torture siano una pur biasimevole pratica, tanto diffusa quanto atroce, è un fatto confermato ripetutamente dalla storia, e oggi dalla più cruda attualità.

Ma c’è uno scarto tra ieri e oggi. Uno scarto notevole, rappresentato dalla sorprendente rapidità della reazione degli organi di informazione, che possono interagire con la notizia e con il pubblico trasmettendo in tempo reale non più solo notizie, ma anche immagini.
I mezzi di comunicazione di massa oggi sono in grado di raggiungere chiunque, hanno un grado di visibilità praticamente a tutto spettro, e giocano un ruolo di primaria importanza. Il risultato più evidente è la possibilità di “rivelare” quasi in diretta quello che accade in qualunque parte del mondo.

La notizia in se stessa, e questo è spaventoso e pericoloso, passa quasi in secondo piano, destituita dall’importanza che assume la forma, il modo in cui la notizia stessa viene presentata.
Pensiamo al video della decapitazione di Berg, diffuso da una televisione e poi disponibile praticamente a chiunque su Internet. Il fatto in sé, il brutale assassinio di un uomo, ha acquistato rilevanza mondiale in virtù della barbara messa in scena, spettacolarizzata, dell’”evento”.

E’ certo che un mezzo di informazione che si proponga di fare giornalismo serio debba avere come priorità assoluta quella di rendere un servizio informativo, seguendo gli obiettivi di verità e correttezza.
Su questi presupposti, a volte bypassati altre volte apertamente disattesi, si fonda il giudizio che sulle notizie l’opinione pubblica si crea.
Gli organi di informazione, infatti, diventano non solo veicolo, in tempo reale, di notizie e immagini, ma anche di opinioni: suggeriscono interpretazioni, propongono idee “pronte”.
Aspetto pericoloso perché non tutti coloro che ricevono l’informazione poi la rielaborano, la sottopongono a verifica critica (e spesso ciò è logisticamente difficile o impossibile).

Per questo ci si domanda oggi che ruolo hanno i media nel processo di informazione, e quale ruolo dovrebbero avere alla luce delle responsabilità che ne derivano.
Pensiamo adesso all’eclatante “caso Mirror”, che ha pubblicato foto dichiarate in seguito false, con conseguente riluttante dimissione del direttore, notevoli pressioni da parte del governo britannico e una bufera di polemiche in tutto il mondo.
Il giornale inglese ha chiesto scusa ai lettori, con un titolo che contiene allo stesso tempo le scuse per l’errore (ammissione di responsabilità) e un atto di discolpa per essere stati raggirati.

Tralasciando il problema della veridicità delle foto, bisogna interrogarsi sulla responsabilità dei mezzi di informazione, dunque, non solo sotto l’aspetto sociale, di ricezione della notizia, ma anche politico e, non ultimo, pratico. Diverse inchieste sono state istituite sulla base di indagini, e notizie, riportate dai giornali dell’opposizione alla guerra in Iraq.
Un ruolo attivo, dunque, quello dei media. Che comporta però responsabilità, come si è visto, che vanno al di là della semplice etica giornalistica.
Il pericolo maggiore è l’abuso dei mezzi di informazione, che restituiscono dunque un’immagine dei fatti distorta, manipolata. O, peggio, la possibilità, non così remota, di occultare la verità. Un tempo si chiamava censura.

Sara Mostaccio

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