The Isac: missione ‘Ballo delle debuttanti’

Dicono che nella vita è importante saper prendere tutte le occasioni al volo, saper rischiare, saper affrontare i propri limiti. Un giorno il vostro volenteroso redattore distrattamente lesse un invito per un certo ballo delle debuttanti, conosciuto solo per sentito dire come una barbara usanza esterofila. Con l’ingenuità di chi non sa a cosa va incontro, di chi non sa che dietro a una parola così piccola può esserci l’ennesima brutta figura, chi scrive s’è detto “Perché no? Andiamoci”. Ecco.

Da quel momento la mia settimana è cambiata. I primi due giorni non ci feci molto caso. Il vero panico iniziò nel momento in cui seppi come mi sarei dovuto vestire. Io, fedele ai comodissimi jeans e maglietta, amante della barba e dei riccioli sfatti alla “appena alzato dal letto”, avrei dovuto conciarmi come un lord inglese in rigoroso abito scuro con papillon… 

Venerdì pomeriggio comincia la ricerca di questo simpatico tocco di eleganza. Nonostante l’attesa di tutta la redazione di Step1, tutor in testa, dentro di me s’accese un barlume di speranza: no papillon no party. Ma non avevo fatto i conti con la signora-della-provvidenza che subito me ne trovò uno. Dopo esser stato spinto dalla famiglia alla perfezione (mi hanno fatto pure lavare la macchina come se fosse la mia damigella), finalmente l’ora del ballo arrivò. Vestito come un pinguino e con in mente gli occhi dei miei nonni che urlavano “chi beddu me niputi!”, mi avviai verso Palazzo Biscari.  

Atmosfera principesca, candele ovunque e un lungo tappeto rosso all’ingresso. Cominciai a sentire un odore antico, come di una vecchia monarchia ritornata, per un momento mi sentii un po’ lord. “Bonasera, lei ci ll’avi l’invitu?” a rompere questo nobile sogno un omino di un metro e novanta mi fermò all’ingresso. Risolta la questione entrai. 

(Prima caduta, non sono abituato a portare scarpe col tacco. Mica sono Berlusconi, io). 

La sala è lussuosa, piena di luci, specchi, fiori profumatissimi, divani e tappezzeria: una trentina di vecchiette, sedute tutte su un divano, strette come sardine, che guardavano ogni singola persona che passasse davanti a loro, facendo delle espressioni, tutte uguali, che indicavano l’indice di gradimento dei vestiti. Messe li, come tappeti a prender aria. Dalle loro espressioni capii quanto potessi essere ridicolo vestito in quel modo. Tra foto e discussioni dei numerosi invitati al gran ballo, elegantissimi con molti tocchi di “estrema stravaganza”, vidi le prime debuttanti correre da una parte all’altra chiedendo circa mille volte al minuto e a tutti indistintamente se stessero bene e se i capelli fossero a posto. Una girandosi lo chiese anche a me in modo quasi isterico: “Il vestito! Come mi sta il vestito?” sapendo di mentire dissi “Sì, sta bene”. Più che abiti da debuttanti mi ricordavano tanto quei centrini da tavola della nonna con stranissimi ghirigori con cui giocavo da piccolo gettandoli sulla testa di mio fratello, immaginandoli reti da pesca. Le ragazze e i cadetti, ordinatissimi in uniforme, si prepararono.  

(Seconda caduta. Ci farò l’abitudine, l’importante è non dare nell’occhio).  

Il Ballo inizia. Coppie ai loro posti di combattimento. Inizia il valz…ehm no la macare…ehm no musica anni ‘70. Il dj aveva sbagliato serata e anche disco. Arrampicandomi su una scala riuscii finalmente a vedere i passi di quel valzer viennese tanto atteso e mi resi conto di quanto la capacità di ballare fosse una conoscenza che si può avere solo nel dna. Due settimane di intenso corso a qualcuno non sono serviti a molto. Piedi su piedi, espressioni di dolore indicibile, coppie che come palline di flipper si scontravano tra loro, resero il ballo più antico del mondo un massacro. Che barbara usanza europea! I ragazzi distrutti da appena dieci minuti di ballo cercarono di dare un po’ di sollievo ai loro piedi. Tra ringraziamenti e saluti, arrivò il momento più atteso, (almeno da me): la cena! Deliziandomi il palato e facendo l’acrobata per non far cadere la montagnetta di cibo, per non pestare i lunghi vestiti delle signore, mi accomodai insieme alle debuttanti e ai cadetti. “E’ stata dura, ma è stato davvero bello: un sogno si è realizzato” diceva una ragazza con eleganza. Per una sera tutto si è trasformato in una favola trasportandoci a un epoca che oramai non esiste davvero più…non sono più i bei tempi di una volta… 

(Boom! Terza caduta, stavolta mi sono portato dietro pure un pezzo di pavimento. Santo cielo! Non esistono più nemmeno i pavimenti di una volta)!

Daniele Palumbo

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