The Isac, missione al FRU

Da qualche mese mi chiamo Isacco. Da quando sono entrato nella redazione di Step1, voglio dire. All’inizio non capivo. Sono il più giovane del gruppo, quello arrivato per ultimo. Ma perché mi chiamano Isacco? Poi ho cominciato lentamente a rendermi conto. Ogni volta che, scorrendo la lista degli eventi da coprire e dei compiti da svolgere in redazione, si arrivava all’incontro più temuto, alla maratona oratoria cui nessun diciannovenne sano di mente avrebbe resistito più di tre minuti, alla rassegna in lingua ungherese programmata a orari antelucani, alla sbobinatura del testo integrale di tutti i dibattiti elettorali per il rettorato, ecco che, tra improvvisi e nervosi attacchi di tosse, gli occhi di tutti cominciavano lentamente ad alzarsi verso di me. “Qualcuno è interessato?” Silenzio. “Qualcuno è libero a quell’ora?” Sguardi vaganti nel vuoto. “Chi si sacrifica?” Nessun segno di vita, solo un leggero tremore nervoso alla mia mano destra che qualcuno sicuramente ha già scambiato per un cenno d’assenso. “Isacco, vai tu?” Certo che vado io. Mi chiamo Isacco, appunto.

Ma stavolta è diverso. Parto per il Fru, insieme a un’intera squadra di radiofonici scatenati! Scatenati… insomma. Non proprio tutti. Alla guida di una delle macchine c’è nonno Alberto, che in autostrada non va mai oltre gli 80 chilometri l’ora. In attesa che si presenti all’appuntamento, naturalmente con i suoi tempi, si dibatte su come distribuirci sulle macchine. Nessuno pensa a chi si troverà seduto accanto. Gli occhi di tutti puntano sugli zaini imbottiti di cibarie e già caricati sulle vetture. Chi si siede vicino al più pesante avrà per qualche ora il coltello dalla parte del manico. È un’occasione da non perdere. Quella del coltello, intendo. Ricordatevi che sono Isacco.

Si parte per Messina: saggiamente si è deciso di evitare la Salerno-Reggio, perché è troppo pericolosa e perché ci vuole troppo tempo (questo secondo concetto abbiamo provato a lungo a spiegarlo a nonno Alberto, ma senza riuscirci). Comunque, a Messina ci si imbarcherà sulla nave per svegliarsi l’indomani a Salerno. La scelta musicale cade su De André, poi sui Beatles. Isacco alterna momenti di stanchezza ad accenni di canti e balli che lasciano interdetti i suoi compagni. Ma l’importante è poter dispensare le cibarie. “Cu spatti cc’avi a megghiu patti”, penso tra me.

All’improvviso però la povera Punto turchese di una frizzante zammuriana fa segno di accostare. La temperatura dell’acqua è troppo alta. Gli uomini della compagnia tirano fori il loro lato più pratico. Cominciano a guardare il motore con un vicendevole scambio di idee. Si decide di aggiungere ulteriore, preziosa acqua. La macchina comincia a bollire. Panico.

I radiofonici confermano la stessa concretezza già messa in mostra nei derby contro Step1. Di fronte alla tragedia, cominciano a farne la radiocronaca e a intervistarsi l’uno con l’altro, nascondendosi dietro Isacco che dovrebbe sfidare il pericolo per illuminare il motore con il suo cellulare-torcia. Lui di meccanica non ha mai capito nulla. Quella Punto che bolle e fuma lo fa pensare solo a una versione aggiornata del sacrificio. Gli zammuriani vendicheranno l’onore sconfitto a calcio bollendosi Isacco come i fagiolini del minestrone?

Però potrebbe andare peggio: potrebbe piovere. Invece non piove. Si alza solo una piccola tromba d’aria che rischia di portare con sé la giovane e dolce steppina Federica-belli-capelli. Il vento è proprio quel che ci vuole per i bollenti spiriti del radiatore. Gli zammuriani hanno trovato il titolo giusto per il servizio che sono ormai pronti a mandare in onda: “Ci putemu calari a pasta!”. A questo punto, con grande sprezzo del pericolo, qualcuno propone di riaccendere la macchina per provare a raggiungere la più vicina area di servizio.

“Giorgio, ti aggiorgio sulle condizioni della macchina…”, si impiccia al telefono il buon San Mito in preda allo sconforto. Ma a un certo punto… Eureka! The Isac ritrova sul suo cellulare il numero giusto. Da qualche parte del mondo gli risponde Salvatore-amico-dei-piloti, che accetta di interrompere la cena per dispensare la propria sapienza e dirige le operazioni a distanza. “Fai raffreddare, svita di qua, svita di là, metti il sale e vedi se la cottura è completa”. Segue breve ripasso dei nomi di parti meccaniche sconosciute. Ma con pazienza e un meticoloso annaffiamento (nel radiatore sembra che siano cresciuti i gerani), la macchina sembra proprio essere guarita.

L’arrivo al porto è emozionante: una volta saliti sulla nave inizierà davvero la nostra avventura. La notte è ancora lunga: tra un limoncello e un bicchiere di vino, tra un pacco di cracker e pugni che stringono i biscotti, le ore e il sonno conquistano terreno sui visi ormai sfatti dei componenti della “Compagnia del Tirreno”. Ma addormentarsi non si può, è questione di principio. C’è chi incolla la faccia su comodissimi divanetti in pelle rossa fingendo di essere sveglio. C’è chi continua a tenersi cosciente mangiando come un forsennato. I più temerari vanno alla ricerca di emozioni, lasciandosi trasportare dal vento della piattaforma più alta della nave, con la segreta speranza che la furia degli elementi li trascini direttamente nel letto dell’ostello. Loschi figuri si aggirano sulla nave cercando il salotto di prima classe come se ci fosse una festa a sbarco. The Isac e la zammuriana Stephy-Rmx lo localizzano. Ma chi pregustava di poter dormire comodo e quieto, si accorge con sgomento che nel salotto si sta già svolgendo la finale del concorso “Facciamo a chi russa più forte”. Ci guardiamo negli occhi, ma non è difficile trovarne due aperti. Decidiamo di partecipare anche noi alla gara. E, a dire il vero, non ce la caviamo neanche male.

Ed è già giorno. Il ricordo delle disavventure della notte è già sbiadito. A tenerlo vivo è solo una nuvola, quella di Fantozzi, che pesa sulle nostre teste. Si arriva all’ostello ridendo e scherzando. Steppini e zammuriani si accomodano nei loro dolci letti, pronti ad alzarsi a pomeriggio inoltrato per partecipare al festival. Che sarà indimenticabile, pensa ancora Isacco prima di abbandonarsi a Morfeo. Anzi, indimenticabile lo è già.

Daniele Palumbo

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