Riconversione: una parola molto usata in Sicilia. E che però spesso si rivela fumosa, proprio come gli insediamenti industriali presenti sull’Isola ai quali viene associata. È il caso di Termini Imerese e della centrale termoelettrica di proprietà dell’Enel. Nel 2015 la multinazionale energetica ha lanciato il progetto Futur-e, che mira alla riconversione, totale o parziale, di 23 centrali elettriche obsolete o non più utilizzate. Un «percorso di economia circolare», secondo l’azienda, che vuole individuare in modo condiviso, attraverso bandi pubblici e concorsi di progetti, possibili soluzioni sostenibili e di lungo periodo in grado di trasformare le centrali individuate in una nuova opportunità di sviluppo per il territorio. «La centrale termoelettrica alimentata a gas in provincia di Palermo – scrive Enel sul proprio sito – ha vissuto negli anni diversi ampliamenti e trasformazioni. Solo una parte del sito, oggi non più funzionale alla produzione di energia, è inclusa in Futur-e». Ma è sull’altra parte esclusa che si concentrano i dubbi del comitato Mare Nostrum.
Nonostante due sentenze del Tar e l’opposizione della popolazione, del Comune di Termini Imerese e della Regione Siciliana, non è ancora tramontata l’ipotesi di realizzare all’interno del sito industriale un deposito di stoccaggio di idrocarburi. A presentare il progetto nel 2017 era stata la Cancascì Petroli srl, oggi Levantoil. Secondo l’azienda la «riqualificazione del parco serbatoi» avrebbe previsto «la riutilizzazione delle strutture esistenti» per la realizzazione di un’area serbatoi che avrebbe dovuto funzionare da «deposito di prodotti energetici non trattati», un’area trasformazione per la «lavorazione e la bioadditivazione», un’area per la distribuzione dei prodotti finiti e un’area di approvvigionamento con il transito di «dieci navi cisterna per anno a regime», con un costo previsto di 15 milioni di euro e l’impiego temporaneo, almeno negli anni di costruzione dell’impianto, di 200 persone.
Il progetto ha visto sin da subito l’opposizione del comitato Mare Nostrum. Che, a distanza di sei mesi dall’interrogazione parlamentare presentata dalla senatrice pentastellata Loredana Russo, attende ancora un pronunciamento da parte del ministro dell’Ambiente Sergio Costa. In questo lasso di tempo ci sarebbe stato un incontro informale della senatrice Russo con i vertici Enel, che avrebbero confermato di voler venire incontro alla volontà ormai esplicita della comunità di non realizzare questo tipo di progetto, e di volersi adeguare a tutti gli altri 22 progetti Futur-e in tutta Italia che prevedono il coinvolgimento del territorio tramite un concorso di idee (in altre parti del Paese, ad esempio, sono stati previsti musei e centri di ricerca). Il problema dunque sarebbe il contratto stipulato tra Enel e l’ex Cancascì Petroli, che prevede delle penali molto pesanti per la multinazionale energetica.
«Allo stato attuale siamo un po’ fermi – conferma l’avvocato Giuseppe Di Maio, presidente del comitato Mare Nostrum – Non conosciamo le intenzioni di Enel perché non abbiamo avuti ulteriori contatti. A fine febbraio c’era stata la sentenza del Tar che aveva rigettato i ricorsi di Enel e Cancascì Petroli contro le prese di posizione del consiglio comunale di Termini Imerese sulla non conformità del progetto relativo alla zona industriale. Già lo scorso anno era stata rigettata l’istanza di sospensione. I dubbi però restano, perché per quel che sappiamo Enel non ha verificato l’ipotesi di un’alternativa al deposito di stoccaggio o la possibilità di intraprendere un nuovo iter. Resta la perplessità sul fatto che negli altri 22 siti sono stati subito chiari sull’iter da seguire, mentre c’è stato sempre molto più riserbo sul progetto che si voleva fare a Termini, che guarda caso è l’unico che ha a che fare con attività nuovamente di tipo industriale e nuovamente di tipo pesante, con un impatto ambientale rilevante».
La specificità del Palermitano, secondo Di Maio che riporta fonti Enel, è giustificata dal fatto che «la riconversione non è totale ma parziale, quindi con una porzione così ristretta difficilmente si riusciva a fare qualcosa di diverso o che somigliasse ad altri progetti di altre centrali da ristrutturare – afferma il legale – Non c’è stato nemmeno il modo di discuterne perché sono arrivati con un accordo già bello e fatto con una società. La nostra lotta mira a far seguire lo stesso iter seguito per gli altri siti, sedendoci a un tavolo e decidendo tutti assieme quale sia la soluzione più idonea. Ma a Termini questa possibilità non è stata concessa».
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