I cantieri Tecnis per la realizzazione dell’Anello Ferroviario in città stanno mettendo a dura prova i cittadini nelle zone interessate dai lavori. Dopo diversi incontri con l’amministrazione comunale, i commercianti e i residenti riuniti nell’associazione Amari Cantieri hanno scritto una lettera aperta al sindaco Leoluca Orlando in cui chiedono che una delegazione dell’associazione sia ammessa all’incontro in Prefettura fissato per il primo di settembre. Si tratta di un tavolo richiesto dal Comune di Palermo con la Tecnis per affrontare il tema dei lavori della chiusura dell’Anello Ferroviario e del nuovo crono-programma. Vi siederanno, oltre al prefetto Antonella De Miro, il sindaco Leoluca Orlando, il vice sindaco e assessore alle Infrastrutture, Emilio Arcuri, e il professore Saverio Ruperto, amministratore giudiziario.
Per i cittadini di via Amari i problemi sono soprattutto legati alla tempistica della realizzazione delle opere ma anche al disagio provocato dal rumore continuo e da alcuni incidenti che sono stati da loro elencati in un esposto presentato il 16 agosto scorso. Inoltre, riferiscono ancora, la presenza dei cantieri fa in modo che sempre meno cittadini e turisti si rechino nella zona per fare acquisti, cosa che ha provocato un calo generale nel volume di affari. Per questo Amari Cantieri ha indetto un sit-in per il primo di settembre che si svolgerà proprio davanti alla Prefettura in concomitanza all’incontro.
Più nel dettaglio, l’associazione nella lettera a firma del suo presidente Francesco Raffa – che da 18 anni ha un’azienda di ceramica artigianale nella zona – chiede di «non concedere alcuna proroga all’appaltatore, sospendere l’apertura dei cantieri in via Crispi, e soprattutto di sollecitare il compimento dell’opera nell’area 4, chiedendo l’utilizzo di uomini e mezzi adeguati». Il cantiere che insiste nell’area 4, è quello «per la realizzazione dei pali e del solettone – precisa Raffa – indispensabili per la successiva realizzazione in sotterraneo della galleria». La zona, che comprende la via Emerico Amari bassa tra via Crispi e via Principe di Scordia, «è chiusa dal 20 gennaio scorso. In quest’area dove si dovrebbero completare i lavori, come da ordinanza dirigenziale numero 51 del 15 gennaio 2016, entro e non oltre il 20 dicembre 2016, a oggi hanno compiuto soltanto il dieci per cento dell’opera».
I cittadini si dicono stremati e stanchi di aspettare risposte che non arrivano mai: «Noi viviamo nel continuo rischio che qualcosa possa avvenire da un momento all’altro – spiega ancora Raffa – a danno dell’incolumità di tutti, come abbiamo documentato anche nell’esposto più recente del 16 agosto scorso». Nel documento sono riportati diversi episodi accaduti da quando è stato aperto il cantiere: «Il 28 di maggio scorso – ripercorre il presidente dell’associazione – si è verificata la caduta di olio da un mezzo presente nel cantiere sul marciapiede, con il rischio di scivolare. Siamo intervenuti chiamando la polizia municipale ha costretto gli operai a mettere in sicurezza il tratto dove c’era lo sversamento». Sempre di giorno 28, ma questa volta a giugno, un escavatore ha urtato la barriera del cantiere provocandone la caduta: «Ha sfiorato una donna che camminava a piedi. Non ha subito lesioni di alcun tipo a parte il forte spavento. Ha detto che sarebbe morta se il negozio del barbiere non fosse stato aperto». Esattamente un mese dopo, dice ancora Raffa, il 28 luglio c’è stato «uno sversamento di fango che ha interessato un tratto di marciapiede di almeno dieci metri, ha imbrattato due persone e il loro cane, e ha provocato la caduta di sassi».
La speranza dei cittadini è adesso che la propria voce venga ascoltata anche da «un soggetto terzo» come il prefetto e che possa avere luogo un confronto con la Tecnis per avere rassicurazioni in merito alle tempistiche di svolgimento dei lavori e alla sicurezza nelle zone vicine ai cantieri. Anche alla luce del fatto che «non ci hanno mai riconosciuto nulla, né l’esenzione dal pagamento delle imposte comunali, né altro tipo di ristoro per il danno che stanno causando a centinaia di famiglie, costrette a vivere in una condizione di continuo rischio».
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