Teatro Massimo, parte in ritardo concerto Beethoven-Ferro   Sciopero dei musicisti: «Tra noi precari anche da 20 anni»

Partirà con trenta minuti di ritardo il concerto di Beethoven-Ferro al Teatro Massimo di Palermo per dire basta alle condizioni di precariato in cui vivono circa settanta lavoratori. Alcuni di loro sono precari anche da quasi vent’anni. Sono tanti gli artisti che hanno aderito all’iniziativa del sindacato autonomo Libersind Confsal per accendere i riflettori sulla condizione in cui continuano a vivere alcuni di loro. Tra le persone che hanno detto sì e contribuito all’astensione dal lavoro dalle 20.30 alle 21 anche artisti che sono stabilizzati e che però solidarizzano con i loro colleghi. Il Libersind Confsal di Palermo conta ad oggi fra i suoi iscritti diversi professori d’orchestra-prime parti, tecnici di laboratorio e ballerini.

Una condizione, si diceva, che va avanti da diverso tempo: «Da anni il Teatro Massimo ha dei precari in Fondazione – spiega Monica Piazza, segretario provinciale Libersind Confsal di Palermo – alcuni hanno anche 18 anni di precariato alle spalle. Grazie al decreto Bonisoli si incoraggia i responsabili dei teatri ad assumere personale in pianta stabile con dotazioni di organico certe. Ancora su questo il tavolo non è stato ancora convocato. Invece ci aspettiamo assolutamente un processo di stabilizzazione in linea con il resto del Paese dove le altre fondazioni stanno transando  sulle cause ancora aperte e stabilizzando. Il numero di contenziosi al momento è alle stelle in tutta Italia. La gestione continua a dire che faremo presto un incontro ma quando Orlando si candidò, sei anni fa, disse che una delle prime cose di cui si sarebbe occupato era la stabilizzazione del personale del Massimo, ma non è stato così. Ad oggi le persone stabilizzate sono tre, tutti posti ottenuti tramite la vittoria di una causa». 

I precari al momento, aggiunge la sindacalista, sono «più di settanta e sono una parte determinante per la produzione del teatro. questi precari sopperiscono anche al mancato turn over, ovvero la sostituzione di chi è andato ad esempio in quiescenza. Il teatro rischia di svuotarsi se chi esce non viene reintegrato da un pari grado». Un altro tema per cui per il Libersind è importante questa iniziativa è per far vedere che è presente e rappresentativo, nonostante la gestione «non vuole far sedere i suoi rappresentanti al tavolo delle trattative perché ha deciso che possono accedere solo i firmatari di contratto – sottolinea Piazza – .Incalzeremo con azioni di lotta da concordare con la base se non avremo risposte, pur rappresentando il 10 per cento dei lavoratori sul totale della fondazione (superando il quorum del 5 per cento previsto agli accordi e dalle convenzioni di Pubblica amministrazione e di Confindustria ndr). Stasera faremo anche un volantinaggio per informare il pubblico del ritardo. Abbiamo il diritto ad essere ascoltati come tutti gli altri». Altre fondazioni in Italia, fa sapere il sindacato, per sanare l’elevato precariato, hanno optato per le transazioni, come il Lirico di Cagliari, il Petruzzelli di Bari, il Carlo Felice di Genova. I rappresentanti di categoria rilevano inoltre l’assenza di un piano scritture per la Stagione 2020. «I tempi determinati sono tutti in scadenza – sottolinea la sindacalista –  e nulla è dato sapere sui periodi contrattuali futuri. Non c’è dunque alcuna certezza occupazionale»

Prosegue quindi la protesta del sindacato, iniziata lo scorso 24 ottobre, in concomitanza con la seconda recita di Das Paradies und die Peri, a cui è seguito il successivo ritardo di mezz’ora per l’ultima recita del 29 ottobre. Alla base dello sciopero proclamato dal Libersind Confsal, quarta confederazione sindacale per numero di iscritti a livello nazionale, oltre all’assenza di un piano di stabilizzazione dei precari. c’è anche il mancato rinnovo della contrattazione di secondo livello, «che ha prolungato le decurtazioni salariali attuate nel precedente piano di risanamento. La produzione è cresciuta in termini assoluti ed il premio di risultato dei lavoratori, dimezzato per risanare le casse della Fondazione, non è mai stato rivalutato. La proporzionalità tra aumento della produttività e riconoscimento economico dei lavoratori non è stata adeguata», conclude il segretario.

Stefania Brusca

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