«Essendo privato, il teatro Brancati è come una trattoria a gestione familiare: tutti pagano e se non mangiano bene non tornano. Mentre il Bellini e lo Stabile sono come i ristoranti di lusso dove si spreca e i politici non pagano». Per il maestro catanese Tuccio Musumeci, attore e regista teatrale – e non solo – sulla scena da quasi settant’anni, il male dei teatri pubblici cittadini è causato dalla politica. Dal 2008 è direttore del teatro intitolato allo scrittore siciliano, dopo tanti anni passati al teatro Stabile. «Da cinque anni me ne sono andato, cioè da quando è entrata la politica. Io dove vedo politici fuggo, perché sono dei faccendieri inutili a cui non interessa la cultura», afferma.
Al Brancati ha successo di pubblico e soddisfazioni. «Soffriamo come tutti gli altri teatri per i tagli, ma abbiamo quattromila abbonati che gli altri non hanno», racconta. Il segreto sono spettacoli attuali e divertenti, senza dimenticare i classici. «Il teatro deve saper andare verso il futuro per attrarre il pubblico, e dovrebbe farlo anche la lirica, guardando ai nuovi compositori», afferma Musumeci. «E invece i politici mettono a capo dei teatri gente incompetente e in quelli lirici gente che non sa neanche cosa sia la musica», continua. Pur essendo attore e registra di prosa, Musumeci sa di cosa parla: «Mio figlio è un compositore e lavora in tutto il mondo. È autore di un’opera sull’Etna che ha è stata rappresentata dappertutto tranne che a Catania», spiega. Matteo Musumeci, il primogenito del maestro, è autore dell’opera Aitna e nel 2008 è stato protagonista della rinascita del teatro Sangiorgi a Catania, di cui è stato direttore artistico sotto la gestione di Antonio Fiumefreddo. «Adesso il povero Sangiorgi è chiuso, relegato a seconda sala quando è stato tra i teatri più importanti di Catania e della Sicilia insieme al Biondo di Palermo», sottolinea Musumeci.
Il teatro, però, per il direttore del Brancati, «senza finanziamenti non può vivere perché i costi sono enormi, tra affitto, tasse, costo del lavoro – spiega – Non si può vivere di soli incassi come si faceva nei primi del ‘900, quando la gestione era basata su intere famiglie, come per il circo, e molta più gente di oggi andava a teatro». Per questo, i teatri a gestione pubblica, per Musumeci, hanno «l’obbligo di far venire a teatro chi non c’è mai stato, gratis o a cifre simboliche. Perché – continua il maestro – saranno gli abbonati degli anni successivi. E invece si sprecano i soldi con troppi spettacoli e grandi scenografie». Per lui «è necessaria una politica diversa, che però è difficile da realizzare se per primi i politici non vanno a teatro e non sanno nulla di cultura. Quelli della prima Repubblica erano mangiatari ma almeno con il senso della cultura», affonda Musumeci. «Lo dimostrano tutte le ultime campagne elettorali, durante le quali nessuno parla di cultura».
Musumeci è pessimista. Anche se il suo tono di voce e il suo modo di parlare sanno sempre provocare il riso, quello che dice non fa ridere affatto. «Al Sud, e specialmente a Catania, perché a Palermo la situazione è certamente migliore, attorno al teatro non c’è nulla – afferma – È un fatto culturale che è stato abbandonato. Per questo cerco di dissuadere i giovani che vogliono fare il mio mestiere perché qui non sono appoggiati da nessuno. L’Italia – continua – sa mangiaru, non è una vecchia signora come si dice spesso: è morta. E il cittadino – conclude – è talmente sfiduciato e abituato che non si ribella più. L’ultima volta che ha reagito è stato nel 1944, quando – ero bambino ma lo ricordo bene – la folla diede fuoco al Municipio».
[Foto da Teatro Brancati]
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