Erano stipati sul peschereccio lungo 23 metri, su tre livelli. In 950 forse. Alcune centinaia chiusi nella stiva e altre centinaia in coperta. Sarebbero morti come topi, spendendo le ultime forze nel tentativo di sfondare quelle maledette pareti che sono state la loro tomba. Chi si è salvato si è anche aggrappato ai cadaveri in acqua. Le modalità di quello che appare come il più tragico naufragio del Mediterraneo sono state raccontate agli inquirenti dall’unico superstite finora giunto in Sicilia e attualmente ricoverato all’ospedale Cannizzaro di Catania. Il suo racconto verrà confrontato con quello degli altri 27 sopravvissuti, tutti uomini, e che sono in viaggio in queste ore a bordo della nave Gregoretti, della guardia costiera, verso il porto etneo dove l’arrivo è previsto dopo le 23. «A bordo della nave ci sono già gli uomini del Servizio centrale operativo della polizia e della squadra mobile di Catania», ha spiegato il procuratore capo Giovanni Salvi in un’affollatissima conferenza stampa, dove ha fatto il punto delle indagini.
«Abbiamo dato priorità alle attività di soccorso e al tentativo di trovare naufraghi in vita, ecco perché la raccolta delle informazioni dai sopravvissuti è inizia solo poche ore fa», ha precisato Salvi. Che ha voluto lanciare un messaggio anche alla politica: «Le modalità operative con cui la Marina, nell’ambito di Frontex e Triton, agisce nei soccorsi sono certamente meno efficaci anche dal punto di vista delle indagini giudiziarie, rispetto a Mare Nostrum (operazione italiana chiusa nel novembre del 2014 ndr). Quest’ultima consentiva la presenza a bordo di personale inviato dalla procura, quindi l’immediato avvio delle indagini, cosa – sottolinea il procuratore – che ci ha permesso di di catturare importanti trafficanti».
Oltre all’aspetto che riguarda l’efficacia delle indagini, c’è quello della preparazione nei soccorsi. «Gli interventi delle navi mercantili, senza un’adeguata preparazione, possono determinare un non adeguato intervento di soccorso», afferma Salvi. Affermazione che lascia aperta ogni ipotesi anche a proposito dell’ultima strage. A intervenire per primo è stato il peschereccio portoghese King Jacob. «Verificheremo – ha precisato il procuratore – la causa dell’affondamento». Le ipotesi sono due: la prima che i migranti all’arrivo dell’imbarcazione, si siano spostati su un lato per essere soccorsi – «al momento è la più plausibile», precisa Salvi; ma non è ancora esclusa una possibile collisione dello stesso mercantile con l’imbarcazione che poi è andata a fondo. La Procura chiederà informazioni all’equipaggio del King Jacob e ai migranti che si sono salvati e confronterà le varie versioni. Non è escluso neanche un tentativo di effettuare dei sopralluoghi sott’acqua per cercare il relitto. «Il soccorso in mare – ci tiene a sottolineare il procuratore tornando al confronto tra Mare Nostrum e le attuali operazioni – richiede professionalità, la marina e la guardia costiera si avvicina con gommoni, avvertono in varie lingue i migranti di non muoversi e danno i salvagente.
Intanto è stato ricostruita l’ultima fase del viaggio dell’imbarcazione che si è rovesciata. Sarebbe partita da una cittadina libica, a 50 chilometri da Tripoli. Ma è possibile che la tappa in Libia sia stata solo l’ultima di un tragitto più lungo, iniziato in Egitto. Come già ricostruito in un altro caso simile. Sul numero dei migranti presenti sul barcone, l’unico superstite sentito – originario del Bangladesh e in ospedale per una patologia precedente alla traversata – ha raccontato di 950 persone a bordo. Di cui 250 donne e 50 bambini. Ma, secondo la Procura di Catania, la cifra va presa con cautela perché non è verificata. I 27 superstiti sono tutti uomini, originari di Algeria, Egitto, Somalia, Nigeria, Senegal, Mali, Zambia, Bangladesh, Ghana. Mentre i 24 cadaveri recuperati in mare sono stati lasciati a Malta. «Mi è stato chiesto dalla guardia costiera e ho acconsentito», precisa Salvi a proposito di questa decisione, annunciata ieri, per primo, dal premier Matteo Renzi. Le operazione di soccorso, in ogni caso, continuano, a circa 120 miglia a sud-est di Lampedusa, con mezzi militari aerei e navali, diversi mercantili e con la collaborazione di Malta e dei mezzi Frontex.
Il procuratore ha quindi sottolineato che non ci sono collegamenti, al momento, tra l’organizzazione di trafficanti smantellata stanotte dalla polizia su coordinamento della procura di Palermo e l’ultima strage. A Catania sono solo stati eseguiti diversi fermi, essendo il Cara di Mineo una delle basi principali del gruppo criminale.
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