Cosa vuol dire per un allievo frequentare la Scuola Superiore di Catania? Quali sono le conseguenze dei cambiamenti apportati al suo regolamento? E cosa provano di fronte a queste novità i suoi studenti? Lo abbiamo chiesto a Paola Tricomi, alunna del primo anno della scuola d’eccellenza.
Paola è una ragazza diversamente abile, ma per lei la diversità sta soprattutto in ciò che la accomuna ai suoi colleghi, perché gli allievi della SCC non possono essere considerati studenti comuni. Alle nostre domande ha risposto con una lettera nella quale ci spiega il perché di questa necessaria distinzione e in cui esprime tutta la sua delusione, e al contempo la forza e volontà di non arrendersi.

Mi chiamo Paola Tricomi, ho 19 anni e sono al primo anno del corso di laurea in Lettere della Scuola Superiore di Catania. Presentandomi, probabilmente dovrei parlare della mia condizione di diversa abilità, dell’Atrofia Spinale, malattia genetica da cui sono affetta e causa di una quasi totale immobilità, in quanto essa è l’aspetto che più salta all’occhio ad uno sguardo esterno. Ne parlo perché mi rendo conto che è un qualcosa di rilevante, che insomma va detto nel presentarsi, eppure so che in questo non si completa la mia immagine, ricolma di mille altre cose, luminosa e densa, in cui la malattia ritorna ad essere “solamente” il mio orizzonte di senso.

Per me la Scuola Superiore è stato un sogno fin dall’inizio dell’ultimo anno di liceo, un sogno legato al mio grande desiderio di nutrirmi di cultura e di conoscere persone ricche. Quando ho visto il mio nome tra gli ammessi ricordo d’aver perso il contatto con la realtà e aver cominciato a pensare di star sognando: insomma, non credevo ai miei occhi. Successivamente, resami conto, è arrivata una gioia infinita che aumenta giorno dopo giorno nel conoscere persone meravigliose. Questa breve digressione per dirvi cosa è per me la Scuola Superiore.

Oggi, che un cielo di nere nuvole ci sovrasta, non sento solamente il mio sogno infrangersi, oltre che ogni progetto fatto per il futuro, ma mi sento tradita negli ideali che fondano la Scuola e che io con tutta me stessa, come tutti i miei colleghi, m’impegno a condividere giornalmente dal momento in cui sono entrata. Il regolamento così riformato infatti va a distruggere i pilastri su cui si regge la Superiorità della Scuola: il prestigio di una formazione d’eccellenza, la possibilità offerta a tutti – senza distinzione di alcun tipo – di seguire questo percorso, una selezione basata unicamente sul valore del merito.

Ho usato senza vergogna il termine superiorità in quanto in questo non si deve vedere un atteggiamento di superbia, ma l’unico senso della Scuola: offrire la più alta formazione possibile a chiunque si prefigga tale obbiettivo e ne abbia l’abilità. Non ha senso infatti sostenere che gli allievi della Scuola sono alunni universitari normali, non soltanto perché abbiamo doveri ben più onerosi di uno studente comune e siamo stati ammessi dopo una dura selezione, ma perché dicendo ciò, di fatto si cancella il senso di un’istituzione come quella della Scuola Superiore. Non è forse radicalmente contraddittorio mantenere un istituto d’eccellenza e dire allo stesso tempo che gli alunni di quest’ultimo sono comuni alunni? Che senso ha allora questa struttura? Il prestigio alla nostra regione non si può dare mantenendo una Scuola d’eccellenza soltanto nel nome: non tarderà a diffondersi la voce del suo sostanziale vuoto interno.
E avanzando questo pensiero, con il quale credo di raccogliere quello di tutti noi alunni della Scuola, non voglio che vi si leghi l’immagine di coloro che con alterigia guardano i percorsi di studi diversi dal nostro, disprezzandoli e considerandoli di poco valore. Siamo perfettamente coscienti della ricchezza che in molti casi vi è nelle facoltà catanesi e della preparazione di molti studenti, ottenuta con grande sforzo e sacrificio. Ma noi abbiamo scelto d’intraprendere una strada di alta formazione, quale c’è stata offerta, e pretendiamo venga riconosciuta. Sostenere la diffusione di una cultura o formazione d’eccellenza non vuol dire sostenere una cultura o formazione d’elite, ma di livello massimo aperto a tutti.

Provo molta tristezza per ciò che decide chi sta in alto e ha in mano il nostro futuro. Proprio questo è il mio dubbio ossessivo: c’è coscienza di cosa voglia dire avere in mano il futuro della gioventù d’una regione? Non è possibile, da ciò che vediamo quotidianamente. Io credo vi sia una grossa responsabilità in questa non coscienza. Nel mio caso, per esempio, i cambiamenti comportano relativamente poco: oltre alla distruzione d’un sogno e d’un ideale, come già detto, la fine dell’unica possibilità che ho di assecondare il mio forte desiderio di raggiungere una formazione di alto livello – come è possibile immaginare infatti, per me sarebbe quasi impossibile spostarmi per lungo tempo fuori della mia città – e in ultimo la perdita di quella fruttuosa frequentazione, seppur ridotta nel mio caso, nonché scambio intellettuale costante coi colleghi che è la ricchezza vera di questa istituzione. Per molti altri alunni vuol dire aver perso preziosissime occasioni, progetti importanti per il futuro cancellati, perdita d’una casa con tutto quello che ciò comporta.

Per questo un’immane desolazione circola tra i corridoi e impregna i muri della Scuola, desolazione che si erge sulla sensazione di tradimento di ideali detto prima e sulla presa di coscienza della vittoria ancora persistente dell’idea che nella nostra terra non si può sognare. Accanto a questo però si alza una forte voglia di combattere contro l’idea gattopardiana che ha sempre visto protagonista la nostra amata regione, molto spesso incatenandola in frasi come “Siamo in Sicilia!”, contro la pseudo cultura, la corruzione, l’atteggiamento mafioso che ci infossa e ci infanga.

Si alza dalla Scuola un forte grido di protesta che coinvolge tutti i suoi alunni, nell’intento di manifestare il proprio totale dissenso a questo progetto d’impoverimento radicale e alzare in alto la mano della non arresa. Ed io, che ho imparato nella vita a combattere, mi aggrego con tutto il mio spirito.

Paola Tricomi

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