Lunghe descrizioni, focus sui dettagli, panorami naturali mozzafiato, indagine introspettiva. E una narrazione che somiglia ad una fotografia in parole a metà tra il racconto di viaggio e l’analisi psicologica sui protagonisti. Sono questi i pezzi che compongono il puzzle di Sul bordo, l’ultima fatica letteraria del geologo-scrittore Sergio Mangiameli, uscito nel 2013 per Puntoacapo edizioni. Una storia ambientata tra una città sul mare del sud Italia che ricorda Catania e Gullfoss, in Islanda, in cui emergono tutte le passioni dell’autore: dall’ambiente – suo primo amore e su cui tiene anche un blog su Ctzen – al tennis, passando per la musica e la scrittura, mantendendo però le distanze dalla deriva autobiografica.
Il romanzo apre una finestra sulla vita di Giovanni Caliò, rigoroso primario di Neonatologia, marito assente e padre con la fissa per il rispetto delle regole. Finché il grave incidente in scooter del figlio non lo catapulta sul bordo, costringendolo ad guardarsi intorno e ad affrontare un percorso che – grazie anche alla famiglia, al ricordo del padre, al rapporto di odio-amore con il fratello e ai suoi piccoli pazienti dell’unità di terapia intensiva neonatale – lo porterà a riscoprire se stesso e il suo ruolo – «non perfetto, ma esatto» in armonia con chi gli sta intorno, con le sue radici e con la natura. Regalando al lettore ritratti, storie e particolari di straordinaria quotidianità. L’autore ce ne ha parlato in un’intervista.
Sul bordo. Titolo del romanzo e frase ricorrente nel testo, quasi a scandire l’evoluzione della storia, ma anche condizione rivelatrice in cui si ritrova il protagonista, Giovanni Caliò, in un momento particolarmente difficile della sua vita. Cosa hai voluto raccontare con queste due parole?
«Stare sul bordo impone la massima concentrazione. Puoi scegliere: starci o rinunciare, ma se molli, perdi una grande opportunità di crescita. Bisogna essere molto attenti: quando siamo lì, vediamo il mondo da un’altra prospettiva e diamo il meglio di noi stessi. E ci sembra che quella, sul bordo delle cose, sia l’unica condizione possibile. A Giovanni, trovarsi sul bordo serve a capire la sua condizione e a trovare se stesso, il suo ruolo».
Parliamo del protagonista. Neonatologo di successo, marito e padre rigoroso. Con una fissazione per il rispetto delle regole e la disciplina, che però lo ha allontanato dalla moglie Valentina e dal figlio quindicenne Davide.
«Come tutti i perfezionisti, Giovanni si concentra solo su se stesso e ha poca cura per le persone che gli stanno vicino. Una condizione di cui si rende conto quando rischia di perdere il figlio. Catapultato sul bordo, capisce che la perfezione non è tutto. Il figlio, la sua vita, se stesso: anche se non è perfetto, può andare bene, può essere esatto, in armonia con gli altri. Realizzato questo, ritrova se stesso, suo figlio e anche il rapporto con la moglie, che stava andando alla deriva».
Il romanzo alterna le descrizioni quasi fotografiche di due luoghi che fanno parte della vita del protagonista: la città di mare del Sud in cui vive in tutto simile a Catania , e il panorama mozzafiato di Gullfoss, in Islanda, dove è stato da bambino con il padre. Perché due scenari così diversi? Da cosa dipende la scelta?
«Catania non è detta ma si immagina, anche se in realtà avrei potuto descrivere una qualsiasi altra citta del Sud sul mare. Volevo evidenziare la differenza di sostanza tra una città del genere e Gullfoss. Un luogo agli antipodi, opposto al mondo del protagonista, unico e diviso allo stesso tempo come la Terra. Un luogo che è anche collegato al ricordo del padre, amante dei viaggi e del National Geographic, che rimane per sempre nella memoria di Giovanni».
Dalle descrizioni si percepisce come a Gullfoss il contatto con l’ambiente circostante e la natura una della tue passioni – si fa più tangibile, quasi primitivo. Ci sei mai stato?
«No, non ci sono mai stato, ma lo conosco per passione. E’ uno spettacolo naturale straordinario e l’idea di ambientarci il mio romanzo è nata da una fotografia che mi ha mostrato una collega geologa e che mi ha dato la prima ispirazione per scrivere il libro. Volevo identificare il mio protagonista ricorrendo al rapporto con la natura, al suo aspetto più selvatico, dove non ci sono mezze misure».
Torniamo alla professione di Giovanni. Nell’unità di terapia intensiva
Sergio Mangiamelineonatale che chiami Il Giornaletto, è circondato da bambini sul bordo della vita, che non hanno neppure il nome, se non quello dei personaggi dei fumetti assegnati alle incubatrici. E’ stato difficile raccontare i dettagli di una professione così delicata? Che cosa ti ha ispirato e perché?
«La chiaccherata con un medico neonatologo è stata la seconda cosa che ha ispirato la scrittura di Sul bordo. Non è stato difficile perché, per motivi di lavoro, ho una certa dimestichezza con neonatologia e pediatria. Il contesto l’ho ricostruito per far quadrare la possibilità che il protagonista riuscisse a trovare se stesso fino in fondo parlando con suo figlio Davide in paperinese, ovvero imitando la voce di Paperino. Il Giornaletto non è reale: è un’invenzione mentale che mi ha aiutato a trovare la soluzione, il giusto linguaggio che consentisse a Giovanni di comunicare con il figlio. Ma confesso che c’è anche qualcosa di mio e del rapporto con mia figlia, con cui ogni tanto parlo davvero in paperinese».
La vita di Giovanni è scandita da due passioni. La prima è il tennis. Quanto c’è di tuo in questo sport e perché lo hai reso co-protagonista del libro?
«Nel tennis mi ci ritrovo. Ho praticato questo sport per anni e so che significa concentrarsi in campo. Ho scelto di raccontarlo perché il tennis impone di trovarsi la posizione esatta a ogni scambio: la posizione è il ruolo mutuato dalla natura. In questa storia, c’è un forte parallelismo tra le regole della natura e quelle del tennis».
La secondo passione di Giovanni è la musica. Due tramonti di Ludovico Einaudi è colonna sonora e insieme chiave di volta della storia.
«A dire la verità non sono un amante di Einaudi, ma Due tramonti è un brano che mi ha stregato. Ha una profondità che mi ha sconvolto fin dal primo ascolto. Non sono un musicista, invidio chi riece a comporre musica, ma mi diletto a scrivere testi. Due tramonti era la base ideale per le parole che Giovanni scrive per il figlio. Parole che, anche se non sono perfette, sono quelle giuste, quelle esatte, quelle che gli servono in quel momento».
Qual è il messaggio che lasci ai lettori di Sul bordo?
«L’importanza del ruolo. Credo sia difficile mantenerlo e Giovanni lo dimostra all’intero della famiglia, nella vita, nel lavoro, nelle sue passioni. Per identificarsi in un ruolo bisogna avere sensibilità e diventa un’opportunità pericolosa quando si è sul bordo, perché bisogna capire se è ancora valido e quanto si ci si può spingere a fondo. Giovanni lo capisce e comprende il suo ruolo. Che è unico e diviso come la Terra, e ne è consapevole».
[Foto di jonathanpercy]
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