«Non siamo dei ragazzi violenti e nemmeno degli stupratori». Sono le parole che gli imputati poco più che ventenni – Roberto Mirabella, Salvatore Castrogiovanni e Agatino Valentino Spampinato – hanno voluto esprimere nelle loro dichiarazioni spontanee nel corso dell’udienza del processo d’Appello per la violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne statunitense. I fatti sono avvenuti la notte tra il 15 e il 16 marzo del 2019 nella zona del porticciolo Porto Rossi in piazza Europa a Catania. I tre sono già stati condannati in primo grado con un processo che si è celebrato con il rito abbreviato. «Sono dichiarazioni che, ancora una volta, confermano l’assoluta mancanza di consapevolezza e di assunzione di responsabilità del grave reato che hanno commesso», commenta a MeridioNews l’avvocata Mirella Viscuso che assiste la vittima.
Durante le spontanee dichiarazioni, hanno chiesto scusa ma senza ammettere le proprie responsabilità. «Può essere che la ragazza non ci stava – ha detto Mirabella – ma non abbiamo fatto nulla con la consapevolezza di ferirla. Quindi, se l’ho ferita, le chiedo scusa». A fargli eco anche l’amico Castrogiovanni: «Non sono un ragazzo violento e non ho percepito il dissenso da parte della ragazza (che chiama più volte per nome, ndr), altrimenti mi sarei fermato». Scuse a cui si è associato anche Spampinato – accusato anche di una seconda violenza sessuale, avvenuta nell’androne della palazzina dove la vittima era ospite come ragazza alla pari da una famiglia catanese – che ha ricordato di avere già mandato una lettera dagli stessi toni in cui riferiva che era dispiaciuto per quanto accaduto. «Non ho capito che non voleva e, se si è sentita ferita, le chiedo scusa». Eppure, a riprova del dissenso della vittima ci sono un video, due audio e decine di richieste di aiuto. «Fatti ed elementi di prova – aggiunge l’avvocata Viscuso – che dimostrano con chiarezza che la ragazza ha esplicitato sia verbalmente che con il corpo il proprio dissenso. Queste dichiarazioni degli imputati sono l’ennesima offesa nei confronti della vittima».
Nel corso dell’incidente probatorio – durato circa dieci ore in videoconferenza dagli Usa – la giovane ha raccontato che in passato aveva già subito altre violenze ma ha aggiunto che quella del marzo di tre anni fa è stata la notte peggiore di tutta la vita. Nel video girato in auto, in cui si vede la vittima che cerca di spingere con la mano il ragazzo che era sopra di lei, si sente pronunciare in italiano la frase: «Non voglio». Parole però che secondo il collegio difensivo sarebbero da riferire non al rapporto sessuale che, dal loro punto di vista, sarebbe «nato con consenso», ma al filmato che i ragazzi stavano girando. Le undici chiamate al 112 e al 911 (il numero unico per le emergenze negli Usa) e i messaggi inviati alle uniche due persone conosciute a Catania, dove la ragazza stava da circa un mese, per gli avvocati della difesa non proverebbero l’opposizione. Ma sarebbero piuttosto un modo strumentale per avere una prova da usare in suo favore.
Una tesi smentita nelle motivazioni della condanna di primo grado in cui il giudice sottolinea che il video mostra un atteggiamento tutt’altro che consenziente della vittima e che «consente di vedere e udire la ragazza tirata per i capelli che emette gemiti, incomprensibilmente interpretati dalla difesa come “di piacere” ma all’evidenza di sofferenza soffocata dalla condizione nella quale si trovava: braccata dal branco dentro l’abitacolo dell’auto, incapace di opporre resistenza alle azioni estremamente invasive della propria sfera sessuale che stava subendo». Tutto questo mentre i tre imputati sono intenti a «ridere e godere della sopraffazione sessuale completamente indifferenti alle reazioni, allo stato d’animo e al volere della vittima trattata senza alcun rispetto dai tre preoccupati soltanto di non sporcare la macchina con il liquido seminale e di immortalare la scena». Per venerdì prossimo è stata fissata l’udienza in cui è prevista la requisitoria della pm Valentina Botti e la discussione delle parti civili.
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