Stupri e stragi nel Sud nel nome dell’Unità d’Italia

Il 14 agosto del 1861, esattamente 151 anni all’alba dell’Unità d’Italia, veniva perpetrato a danno degli abitanti di due paesi in provincia di Benevento, Pontelandolfo e Casalduni, ad opera dei “liberatori” italo-piemontesi una strage che mai mente criminale avrebbe potuto concepire.

Alle prime ore del giorno di quel 14 agosto viene, infatti, scritta una delle pagine più nere del risorgimento puntualmente ignorata dalla storiografia ufficiale e dai testi scolastici, quando su ordine del generale Enrico Cialdini viene inviata per un’operazione di rappresaglia (poiché erano stati uccisi dai briganti alcuni soldati del regio esercito) al comando del colonnello Pier Eleonoro Negri una colonna di 500 bersaglieri con la disposizione di massacrare tutti gli abitanti, ritenuti complici dei briganti, e per vendetta radere al suolo i due paesi.

Enrico Cialdini fu il mandante del massacro di Pontelandolfo e Caslduni, in virtù della legge Pica che gli dava i più ampi e criminali poteri di fucilare sul posto senza processo, massacrare intere famiglie, mettere a ferro e a fuoco interi paesi e villaggi del Meridione e arrestare e deportare tutti coloro che davano solidarietà e un minimo di sussistenza ai cosiddetti briganti. Negli ordini scritti ai suoi sottoposti era solito raccomandare di: “non usare misericordia ad alcuno, uccidere senza fare prigionieri, tutti quanti se ne avessero tra le mani”. Ed è esattamente quello che avvenne ad opera di questo criminale a Pontelandolfo e Casalduni. E dire che a questo esecrabile personaggio nel nostro Paese – di fatto un volgare criminale – sono dedicate numerose vie e piazze e sarebbe ora di cancellarle. (sopra, a sinistra, foto tratta da blog.libero.it) 

Antonio Gramsci, nel 1920, su Ordine Nuovo, a proposito di questi genocidi e di queste vere e proprie pulizie etniche perpetrate dei “civilizzatori e liberatori” italo-piemontesi a danno delle popolazioni meridionali, così ebbe a scrivere: “Lo stato italiano si è caratterizzato come una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”.

Ma per restare nello specifico degli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni, ecco quanto riportò dettagliatamente e testualmente nel suo diario Carlo Margolfo, uno dei 500 Bersaglieri entrati, all’alba di quel maledetto 14 agosto in paese a compiere la strage: “Al mattino del mercoledì, giorno 14, riceviamo l’ordine superiore di entrare nel comune di Pontelandolfo, fucilare gli abitanti ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava ed infine abbiamo dato l’incendio al paese, di circa 4500 abitanti. Quale desolazione non si poteva stare d’intorno per il gran calore e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti e chi sotto le rovine delle case”.

Questa la raccapricciante testimonianza del bersagliere Margolfo che fu attivo protagonista di quell’eccidio. L’ordine era stato perentorio: radere al suolo i due paesi, non farne rimanere in piedi una sola pietra. Vennero assaltate le chiese, le case, al grido di “piastra- piastra”, saccheggiate prima di appiccarvi il fuoco. Il “diritto di rappresaglia” consentiva a queste belve di uccidere, in un’orgia di sangue, anche vecchi e bambini e stuprare le donne senza prima avere loro strappato gli orecchini. Concettina Biondi una ragazzina appena sedicenne venne violentata malgrado l’ordine fosse quello di risparmiare almeno i bambini. Ecco i genocidi e le pulizie etniche che venivano perpetrate agli albori dell’Unità d’Italia dai ‘liberatoriì piemontesi nei confronti delle popolazioni meridionali. (a sinistra, foto tratta da partitodelsud.blogspot.com)

Si può senz’altro dire che la ferocia, per “diritto di rappresaglia” dimostrata in quel maledetto 14 agosto del 1861 dagli italo piemontesi nei confronti degli abitanti di Pontelandolfo e Casalduni fu, senza dubbio, superiore a quella dimostrata, sempre per diritto di rappresaglia”, dai nazisti esattamente 83 anni dopo nell’agosto del 1944 a Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema, dove gli abitanti furono anch’essi fucilati senza saccheggi e stupri e le case dei due paesi non furono bruciate al contrario di quelle di Pontelandolfo e Casalduni di cui i piemontesi ne lasciarono intatte solamente tre.

Eppure i nostri libri di storia e le inceclopedie non fanno altro che ricordare opportunamente perché non se ne perda la memoria le vittime dei nazisti dell’agosto del 1944. Ma è anche giusto ritrovare la memoria di quegli eccidi e di quelle pulizie etniche di cui furono vittime le popolazioni meridionali ad opera di altri italiani che si spacciarono per “liberatori e civilizzatori” e puntualmente ignorati dalla storiografia ufficiale e scolastica.

Le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia sarebbero state una buona occasione per ricordare e ritrovare una memoria condivisa. Ma così non è stato, a cominciare dal nostro presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che preso dalla retorica e dall’enfatizzazione dei festeggiamenti ha preferito non affrontare queste verità scomode.

Diceva Leonardo Sciascia: “Questo è un paese senza memoria e io non voglio dimenticare”. E per non dimenticare crediamo sia giusto e doveroso ricordare e celebrare oggi, a distanza di 151 anni, quelle vittime innocenti dell’eccidio di quel lontano 14 agosto del 1861 a Pontelandolfo e Casalduni in cui più di mille italiani furono massacrati da altri italiani e che la coscienza sporca di altri italiani ha cercato, per tutto questo tempo, di far passare sotto silenzio.

 (a destra, foto tratta da eleaml.org)

Ignazio Coppola

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