Un’assemblea pubblica nella piazza adiacente all’istituto tecnico Archimede per dire no alla somministrazione delle prove Invalsi nei licei. A organizzarla è stata l’associazione Liberi pensieri studenteschi, la stessa che si è occupata della rigenerazione dello spazio urbano. «I test dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo e di formazione costano allo Stato 14 milioni di euro l’anno», afferma in apertura lo studente William Bella. Che domanda: «Siamo sicuri che a tutti questi soldi corrisponda una qualche utilità?». La risposta per lui è un secco «no, assolutamente». E non è la prima volta che le prove istituite dal ministero per la pubblica istruzione – tramite l’agenzia Invalsi – sono al centro di polemiche da parte degli studenti delle scuole medie e superiori, dei docenti e delle famiglie. Ogni anno, all’avvicinarsi della data fissata per le prove nazionali tornano i dubbi e vengono organizzate manifestazioni di protesta, boicottaggi e assemblee pubbliche.
«L’anno scorso l’istituto tecnico Archimede ha boicottato i test anche grazie al sostegno che noi studenti abbiamo ricevuto dagli insegnanti», racconta Bella. Che annuncia come anche quest’anno l’assemblea pubblica sia solo l’antipazione di un corteo di protesta che si terrà giovedì 7 maggio. A organizzare la marcia sarà il comitato No Invalsi, no Buona Scuola. E se gli studenti non hanno ancora trovato una soluzione alternativa per la valutazione del sistema scolastico italiano da suggerire al governo centrale, non demordono. «Noi crediamo che dal dialogo e dal confronto possano nascere buone idee», afferma Bella. Che annuncia: «Giorno 12 maggio, quando in molte scuole verranno sostenute le Invalsi, noi ci riuniremo in questa piazza limitrofa all’Archimede e daremo vita a lezioni didattiche all’aperto».
Tra i motivi che determinano l’avversione del mondo studentesco nei confronti delle prove standardizzate – utili a misurare le competenze degli studenti e delle scuole italiane in generale, e non dei singoli -, c’è l’accusa di livellare il sapere, di non avere utilità ai fini didattici e di non misurare il reale valore dell’insegnante e dell’insegnamento. Ma soprattutto «si vengono a creare, in base all’attribuzione di un determinato punteggio, scuole di serie A e scuole di serie B. E il mondo dell’istruzione, soprattutto del Sud, non ha bisogno di questo, perché le scuole che rientrerebbero nella prima categoria otterrebbero maggiori finanziamenti».
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