Storia di un cortometraggio

 

Una macchina scorre su di un viale, alla destra una sfilza di case, normali, comuni, familiari.

All’interno dell’auto due sagome, i visi nascosti dall’oscurità. Sul cruscotto una forma strana, indefinita, sembra un oggetto. La macchina rallenta, accosta, il passeggero prende quella starna forma del cruscotto, scende, e poi:.

Chi guida saluta con un gesto e riparte, non sembra sereno, il suo viso è celato dal buio ma i suoi movimenti e il suo respiro raccontano di una paura appena passata.

 

Scorre la macchina in una strada di campagna, ai lati solo erba e qualche cespuglio, ora il conducente è tranquillo, sereno, perfino allegro. I fari dell’auto illuminano la via deserta, è notte fonda.

I fari mangiano alcuni metri, poi si fermano su qualcosa. Una sagoma è distesa lì, in mezzo alla strada, troppo grande per essere un cane o un gatto. L’uomo alla guida è immobile, incerto nel da farsi, sente che l’agitazione lo prende e il suo respiro si fa affannoso. È lì, dentro l’auto, già da un po’, e decide di uscire, apre lo sportello, esce, e si avvicina alla sagoma……

 

Si spengono i fari. L’uomo è sbalordito, stupefatto, la paura lo ha catturato, si muove scoordinato dal terrore.

I fari riprendono luce. La sagoma è scomparsa.

Chi era al sicuro nella sua auto, un minuto fa, ora è lì fuori in preda al panico e si guarda in torno, appare annebbiato. Il suo respiro incontrollato, il suo viso contorto, i suoi movimenti vorticosi.

È un uomo ad intimare, in mano una pistola e in viso una maschera da maiale.

L’uomo dell’auto è incredulo, si sente braccato, e lo è. Non pensa, non ha nulla cui pensare, vede solo quel mostro dal volto di maiale che lo ucciderà a breve. Non rabbia nel suo volto, ne voglia di reagire, no, solo smarrimento e incertezza. Sente che le forze lo stanno abbandonando, tra qualche istante sarà alla mercé di quell’individuo ed ogni speranza sarà persa, già ora non nutre più nessuna speranza.

 

Il suono di una risata fragorosa spezza il silenzio dell’animo dell’uomo, il mostro della pistola ride, e ride di gusto. Ride come se il suo più gran desiderio si fosse avverato e godesse già dei suoi frutti.

Ora la maschera è tolta e il viso parla. Il viso del mostro è quello di un amico. Un amico, un amico stupido, ha scelto quella notte, quel posto e quel modo per uno scherzo, uno stupido scherzo.    

.

I due salgono in macchina, chi guida ora è tornato alla vita. Quella vita che pensava, era convinto, stava per lasciarlo è lì con lui, e tutte e due accompagnano l’amico a casa. .

Non c’è spazio dentro l’uomo per le scuse, anche se sembra che le acceti, non c’è spazio dentro l’uomo per la paura, anche se il suo volto dice il contrario. Ora prova solo sollievo, era spacciato e ora torna casa. Aveva finito di vivere e ora guida e respira l’aria fredda della notte.

 

La macchina scorre su di un viale, alla destra una sfilza di case, normali, comuni, familiari.

All’interno dell’auto i due uomini sono solo due sagome, i visi nascosti dall’oscurità. Sul cruscotto la pistola avvolta nella maschera, quell’orribile maschera da maiale, crea una forma strana, indefinita.

La macchina rallenta, accosta, il passeggero prende quella strana forma del cruscotto, scende, e poi:.

Chi guida saluta con un gesto e riparte, non sembra sereno, il suo viso è celato dal buio ma i suoi movimenti e il suo respiro raccontano di una paura appena passata.

Giorgio Pennisi

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