Statuto e presidi

Cari Amici della Redazione di Step1, l’articolo
sulla ‘tornata’ elettorale per il rinnovo delle Presidenze di un buon numero di
Facoltà dell’Ateneo mi induce a riflettere su problemi diversi e meno
contingenti di quello di ipotetici ‘schieramenti’. In particolare, mi fa pensare
al fatto che l’attuale Statuto ed il relativo modello di organizzazione dei
poteri di governo all’interno dell’Ateneo risalgono alla prima metà degli anni
’90 e mostrano, ormai, tutto il logoramento che deriva dal rapido superamento di
concezioni dell’autonomia e della responsabilità tramontate per l’obsolescenza
delle posizioni culturali che portarono a quella normativa, come pure per il
sovrapporsi di nuove e significative regole legali.

All’atto della promulgazione della legge sull’autonomia universitaria
eravamo, contemporaneamente, tutti desiderosi di esprimere in regole e diritti
le tensioni che avevano caratterizzato la nostra esperienza studentesca tra la
fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 e tutti ansiosi di partecipare a quelle
che ritenevamo le sedi del ‘potere accademico’. Cercavamo una sintesi perfetta
di democrazia, responsabilità accademica e agibilità per le varie aree
scientifiche. È successo così che abbiamo prodotto organi incredibilmente
complessi che si sono dovuti misurare con la debolezza della propria
legittimazione (non pienamente democratica, non pienamente accademica) e con il
peso immane di un’autonomia, attribuita tutta come responsabilità.

In
nome della garanzia della pariteticità della presenza di tutte le componenti
della docenza (per fasce e per aree), ad esempio, abbiamo costruito un sistema
elettorale del Senato Accademico che può attribuire la rappresentanza ad un
soggetto che abbia conseguito solo il proprio voto, a danno di altro soggetto
che probabilmente rappresenta meglio l’area, ma ha la sfortuna di appartenere ad
una fascia di docenza già rappresentata. Abbiamo pensato ad una rappresentanza
dei Direttori di Dipartimento collocata solo in Consiglio d’Amministrazione,
confessando, in tal modo, una concezione solo amministrativa dei Dipartimenti.
Non possiamo dimenticare, d’altra parte, che, al momento della formulazione
dello Statuto, la dipartimentalizzazione era ben lungi dall’essere completata.
Nello stesso Consiglio d’Amministrazione trova posto una rappresentanza dei
Presidenti di Centri di Servizi che rischia, per l’attuale struttura dei Centri,
di essere una promanazione del Rettore in carica.

L’elenco potrebbe
continuare ancora, ma non penso che sia utile farlo. Penso, piuttosto, che sia
utile richiamare tutti alla riflessione sulla necessità di disporre di strumenti
di governo più adeguati alle dimensioni e al ruolo di un Ateneo come il nostro
e, soprattutto, più funzionali alla difficile gestione di un sistema di
autonomia caratterizzato dalla limitatezza crescente delle risorse,
dall’autoreferenzialità delle decisioni e delle scelte, dalla carenza di criteri
oggettivi di valutazione e di attribuzione delle risorse.

Nessuno critica lo sforzo compiuto, allora, dalla Commissione d’Ateneo:
non si poteva fare di meglio in quel contesto e non si potevano prevedere
evoluzioni imposte dalle leggi successive. Oggi, invece, abbiamo le conoscenze e
le possibilità di valutare un’esperienza di autonomia che, in molti casi,
rischia di degenerare verso forme di mancanza di controllo e coordinamento; con
Facoltà che adottano modelli organizzativi, procedure, criteri di governo delle
posizioni soggettive dei Docenti e degli Studenti significativamente e
ingiustificatamente differenziati, con istanze interne di vario tipo, sempre più
lasciate al rischio del non governo degli interessi particolari.

Mi
chiedo se, davanti a dodici Facoltà che trattano la stessa materia in dodici
modi diversi, non sia legittimo pensare che, in qualche modo, sbagliano tutte o
che, magari, in ciascuna materia, non ce ne sia una per volta che, per caso,
adotta un criterio corretto. Quel che dico, ovviamente, lo dico con l’amara
consapevolezza che quindici anni di sperimentazione dell’autonomia non ci hanno
ancora consentito di affinare i nostri metodi di organizzazione e regolazione e,
contemporaneamente, assumendomi l’onere di denunciare un malessere che non ha
specifici responsabili, ma che ci deve far sentire tutti
corresponsabili.

Proprio per queste ragioni, non mi appassiono più di
tanto alle vicende elettorali, tanto meno mi appassiono al gusto della
dietrologia. Ritengo i Docenti fin troppo maturi e autonomi per sapere scegliere
con avvedutezza e nell’interesse al buon governo della propria Facoltà. Mi
preoccupa molto di più l’allegra indifferenza per le insufficienze strutturali
della normativa statutaria e temo che nel futuro del nostro Ateneo, come pure in
quello di molti altri atenei, ci possa essere una grande confusione, che ci
renderà deboli rispetto alle pressioni, ai condizionamenti, alle pretese di
altre Istituzioni.

Pippo Vecchio

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