«Si pensa sempre al peggio, quando si crea una situazione di agitazione all’interno di un’azienda. Secondo me i margini di una manovra per risolvere la questione ci sono». Rosanna ha 28 anni e lavora alla St Microelectronics da tre anni. I suoi colleghi più anziani, che come lei sono raccolti in presidio davanti alla sede dell’azienda alla zona industriale di Catania, sono decisamente più scettici. Soprattutto dopo la richiesta di cassa integrazione ordinaria per 2024 lavoratori, «la ciliegina sulla torta rispetto a una situazione preannunciata», afferma Stefano Materia, segretario provinciale della Cgil. Le preoccupazioni sono aumentate dopo l’annuncio di una potenziale cessione delle quote statali, una partecipazione del 25 per cento che l’Italia condivide con la Francia. «Abbiamo in più occasioni chiesto al ministero dello Sviluppo economico di occuparsi della questione – racconta Materia – L’unica cosa che il governo ha saputo fare è stato parlare di vendita del pacchetto azionario, per fare cassa».
Secondo i sindacalisti un segno della volontà dell’azienda di operare dei tagli consistenti è la decisione di avviare verso la chiusura uno dei settori, senza però far partire le attività in quello nuovo. È il modulo 9, promesso da una decina di anni, finanziato con circa 300 milioni di euro, ma ancora non avviato. «La vediamo messa male, perché quando l’azienda dice “state tranquilli, l’M9 partirà”, sottolinea che dipenderà dalle condizioni di mercato». E, durante l’ultimo tavolo con i sindacati, «hanno messo sul tavolo la richiesta di cassa integrazione ordinaria per 2024 lavoratori dalla settimana scorsa fino a dicembre – spiega Materia – Tutti quelli addetti alla produzione». Un rischio concreto di chiusura definitiva per quella che una volta era chiamata l’Etna valley, il cui fulcro era l’azienda produttrice di componenti elettronici che dà occupazione a quattromila dipendenti diretti e circa duemila dell’indotto. «Il volano che era e poteva rappresentare St ormai non c’è più», conclude categorico il rappresentante della Cgil.
Concetta ha 35 anni e ha iniziato la sua carriera nove anni fa, quando ancora doveva completare gli studi all’università di Catania. «Finora le istituzioni sono state assenti, non pensiamo possano intervenire. O lo faranno solo quando la situazione diventerà più critica», riflette. Eppure «il nostro è un settore in pieno sviluppo, l’elettronica la troviamo anche in cose per definizione analogiche come le sigarette», sostiene Fabio Garozzo, dipendente da oltre vent’anni e rsu Fiom. «Cosa ne sarà dell’occupazione e anche della politica economica della città? – si chiede – Nei reparti produttivi, l’età media è tra i 30 e i 40 anni, persone giovanissime che hanno appena iniziato a formare anche una famiglia. La specializzazione è molto alta». «Il timore è di non arrivare all’età della pensione dentro questa azienda», fa eco Michele Pistone, anche lui rappresentante Fiom. Dipendente proprio del settore in dismissione, anche la moglie è impiegata alla St. «Immaginiamo un lento declino – dice – Non esiste allo stato attuale un turn over adeguato da poterci far pensare che l’azienda voglia andare avanti».
Esistono margini per un cambio di rotta? Boris Di Felice, segretario del comitato aziendale europeo, ne è convinto. «Sappiamo che i fondi europei ci sono e sono tanti». Da Bruxelles l’attenzione è alta per temi come la gestione intelligente dell’energia e le smart cities. Settori nei quali l’azienda – che ha sedi a Grenoble, in Lombardia e in Campania – potrebbe inserirsi. «Per accedere ai fondi, bisogna avere degli impegni credibili – sostiene – Un quarto dei finanziamenti proviene dall’Unione europea, un quarto dallo Stato nel quale viene portato a termine il progetto, il 50 per cento dall’azienda». Ma il nodo da sciogliere riguarda la volontà di Roma. All’incontro in commissione Lavoro al Senato di due giorni fa convocato sulla crisi «abbiamo registrato la presenza del Movimento 5 stelle e l’assenza del Partito democratico e della maggioranza; per noi è gravissimo».
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