Prima la richiesta di usufruire di dieci giorni di ferie. Poi la doccia fredda: l’inizio della procedura di cassa integrazione ordinaria. È la decisione comunicata oggi dai vertici della St Microelectronics a 2200 dipendenti dello stabilimento di Catania su quattromila. «Immaginavamo una notizia del genere», sospira Boris Di Felice, rappresentante dei lavoratori, impiegato come fisico nell’azienda da 19 anni. «St sta affrontando un periodo di difficoltà nel settore digitale», chiarisce. Una crisi, quella della multinazionale franco-italiana produttrice di componenti elettronici, che va avanti «da circa tre anni».
Secondo Di Felice – che all’interno del sindacato occupa anche il ruolo di segretario del comitato aziendale europeo – la richiesta di cassa integrazione per i colleghi etnei va inquadrata a livello generale, in un’analisi che «non può mettere lavoratori francesi contro lavoratori italiani». «Secondo noi il governo deve assumersi le responsabilità nei confronti dei dipendenti, così come sta facendo quello francese». L’esecutivo guidato da François Hollande «ha già messo in discussione le scelte fatte da St, ha fatto delle critiche durissime. Qui il governo scarica la responsabilità a livello locale». La soluzione va cercata in un tavolo di trattative «che non può che essere romano – sottolinea – Sennò andremmo a trattare fatti contingenti e il rischio è che ancora una volta si facciano dei piani che finora non hanno funzionato, escludendo i contributi dei lavoratori. La risposta non è ridurre salari e diritti», esclama categoricamente.
Di Felice sostiene che quello che serve è «un piano industriale per il rilancio. I player internazionali lo sanno, sono sul campo e noi dobbiamo esserci pure, abbiamo il capitale umano per farcela». Il rischio, altrimenti, è di attuare quella che i sindacalisti con maggiore esperienza definiscono «la tecnica del carciofo». «Questa crisi finora è stata affrontata con logiche di tipo finanziario – chiarisce il rappresentante – piuttosto che rilanciare su piani a lunga e media scadenza, si è tagliato sui settori meno produttivi». Uno di questi è la joint venture tra St ed Ericsson. Un’attività costata più di due miliardi, consumatasi poi tre anni fa con un pesante passivo e terminata con «consistenti licenziamenti – racconta Boris Di Felice – Avrebbe avuto molto più senso mantenere quelle competenze all’interno dell’azienda». Una lezione che i vertici dell’azienda dovrebbero tenere a mente, secondo l’rsu. «Se si va a fare un taglio dei costi, è un sacrificio fine a se stesso».
Un altro segnale che preoccupa i sindacati è il rinvio dell’investimento – sconosciuto negli importi, ma definito «importante» – per l’avvio del nuovo modulo, l’M9. Un altro settore, l’M6, «non è mai stato fatto e ha determinato una grossa sofferenza nello sviluppo dell’azienda». Quello che serve è «sviluppare sinergie per pretendere a livello europeo finanziamenti da destinare al sud Europa, cosa che già ha fatto la Germania».
Nei prossimi giorni i delegati sindacali incontreranno i lavoratori. Il reparto più a rischio è «quello più vecchio, che lavora i prodotti a sei pollici», racconta un altro rsu della Fiom, Michele Pistone. «Pian piano sta andando avanti il suo ridimensionamento. La motivazione ufficiale è un calo delle richieste, ma vogliamo conoscere i numeri dall’azienda per capire se è vero». Pistorio è proprio uno dei dipendenti del reparto, nel quale lavora da 16 anni. «La decisione comunicata oggi era un rumor. Ma l’azienda ci ha preso alla sprovvista, non immaginavamo che la richiesta fosse così pesante». E conclude: «È un periodo sempre più preoccupante, il futuro si annerisce».
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