Condividere un momento di gioia anche in un luogo in cui non sarebbe previsto, come un carcere. Il sapore di un dolce che non puoi mangiare, se non grazie alla gentilezza e all’attenzione di chi sceglie di trascorrere delle ore in un luogo invisibile ai più. Da qui, da un gesto compiuto dal maestro pasticcere Salvatore Cappello, è nato il progetto Sprigioniamo i sapori. Cappello confiderà i segreti della millenaria arte della pasticceria siciliana con 60 uomini e donne detenute alla casa circondariale Lorusso-Pagliarelli. «Il maestro Cappello ha sempre in qualche modo fatto una sorta di volontariato – spiega Aurelia Granà, che dirige il progetto – dedicando alcune giornate, ad esempio a realizzare cannoli espressi con i detenuti. Ci sono alcuni cibi che i carcerati non possono mangiare, perché non passano ai controlli come la crema di ricotta, quindi per loro è stata una festa».
Da qui nasce l’idea di un percorso di accompagnamento al lavoro, finanziato dal Dipartimento Regionale della Famiglia e delle Politiche Sociali nell’ambito dell’ Avviso 10/2016, gestito dall’associazione Idea, presieduta da Fabrizio Fascella, in partenariato con l’associazione Orizzonti Onlus e la Pasticceria Cappello, con la fattiva collaborazione del Pagliarelli che, attraverso varie attività (orientamento, formazione, laboratori e tirocini), favorirà l’inclusione sociale dei detenuti. «Tutte le idee sono buone ma poi si devono adattare alla realtà e al Pagliarelli c’erano già dei piccoli laboratori di pasticceria – continua Granà – I detenuti, su consiglio del maestro Cappello, realizzeranno dolci che nei laboratori non si fanno più in modo artigianale come la cialda del cannolo, la pupa di zuccaro, per la quale è rimasto un solo laboratorio che le distribuisce a tutte le pasticcerie durante il periodo dei morti. Poi ancora ci sono la pasta di mandorla e il torrone». L’idea è quella di formare quattro mini corsi di 150 ore, frequentati ciascuno da otto detenuti, per far realizzare in ognuno una sola di queste specialità in modo tale da poter insegnare loro a realizzare il prodotto finito.
Poi c’è invece un corso lungo specializzante da seicento ore nel quale si insegnerà l’arte della pasticceria a livello più complesso, spendibile in Ue, e che sarà frequentato da otto donne. Il corso è già iniziato ed è partito dalle tecniche di base per le creme e la panificazione. Alcune delle detenute hanno già fatto le pasticcere e si pensa di farle accedere già ad alcuni dei 24 tirocini retribuiti con 500 euro al mese per un anno che verranno assegnati alla fine dei corsi. «L’obiettivo del progetto è l’inclusione sociale lavorativa – afferma ancora Granà – e i tirocini saranno assegnati a chi verrà ritenuto più idoneo». Si terranno o all’interno del carcere, sotto forma di impresa simulata, o all’esterno con i detenuti in articolo 21, ovvero che possono uscire e andare a lavorare. O ancora meglio potranno essere svolti da coloro i quali usciranno dal carcere entro la fine del progetto, che rappresentano i «candidati migliori da introdurre nel mondo del lavoro grazie all’associazione di pasticceri Conpait che ha soci in tutta la Sicilia. Si spera così che ci diano una mano nei luoghi di residenza dei detenuti coinvolti nel progetto».
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