Sos per i Cantieri navali di Palermo

Nel corso dell’intervista di fine anno, il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, tra le tante indicazioni generali del suo generico programma di sviluppo dell’economia nazionale ‘Crescitalia’, ha messo l’accento sulla messa in produzione dell’Italia meridionale. Bontà sua. L’argomento non è nuovo, anzi è stantio. Saranno almeno 50-60 anni che il tema è al centro del dibattito pubblico sullo sviluppo economico e sul processo di unità del popolo e della nazione italiana. I risultati, purtroppo, non ci sono né ci sono stati in passato.
Oggi, a Palermo, la nuova preocccupazione è rappresentata dai Cantieri navali della città. Che, tanto per cambiare, rischiano di essere sbaraccati. Com’è avvenuto, qualche mese fa, con lo stabilimento della Fiat di Termini Imerese. La preoccupazione della politica siciliana dovrebbe essere quella di scongiurare la chiusura di uno degli ultimi stabilimenti industriali del capoluogo dell’Isola. Ci riuscirà?
La storia, purtroppo, ci fa essere pessimisti. Troppe cose, negli ultimi anni, non sono andate per il verso giusto. Troppi errori. Troppe leggerezze. La mafia, che nei primi anni del secolo scorso era un fenomeno circoscritto in alcune zone della Sicilia occidentale, è diventata una presenza organicamente diffusa in forma capillare su tutto il territorio della Sicilia, ed è penetrata in profondità su tutto il territorio nazionale ed è arrivata abbondantemente in vaste zone di altri Paesi e, perfino, nelle istituzioni europei.
A questo proposito, qualcuno ricorderà che nel 1991, a Palermo, fu trovata una tipografia che stampava in forma clandestina cartamoneta euro. Fu aperta un’inchiesta che non portò ad alcun esito giudiziario. Ma la domanda principe non ha avuto alcun seguito nel dibattito pubblico: come avrà fatto quel tipografo palermitano ad avere i prototipi delle monete euro, che a quell’epoca erano chiusi, sigillati e segretati nei caveau e nei forzieri della Commissione Europea?
Sul terreno economico, tranne una breve stagione tra gli anni Sessanta e Settanta, il processo di industrializzazione avviato nel Mezzogiorno ha lasciato solo le testimonianze più disastrose (petrolchimico e siderurgico), ma di manifatturiero nemmeno l’ombra. Solo la Fiat a Termini Imerese che è costata una barca di soldi di incentivi e che, forse, si è potuta realizzare per rimediare alle responsabilità che la stessa Fiat aveva avuto nel fallimento del progetto Willis Mediterranea. Si tratta della fabbrica dei fuori-strada ante litteram che la Sofis – la finanziaria creata dalla Regione a sostegno dello sviluppo industriale della Sicilia – sotto la spinta dell’ingegner Domenico La Cavera stava realizzando con la casa americana produttrice della jeep. Ora la Fiat ha dismesso l’impianto di Termini Imerese per spostare la produzione in Serbia e per accaparrarsi altri incentivi e contenere ulteriormente i costi del lavoro.
Abbiamo voluto ricordare questi due episodi emblematici per introdurre l’ennesima rapina. Preceduta, come si ricorderà, dall’incorporazione del Banco di Sicilia prima nel Mediocredito Centrale per salvare la Banca di Roma dal fallimento, poi in Capitalia (vero e proprio ‘vaso di Pandora’ del mondo finanziario e bancario italiano) e, in ultimo in quella grande banca di ‘successo’ (soprattutto in Borsa…) che risponde al nome di Unicredit (con relativa ‘valorizzazione’ delle opere d’arte che arredavano il grand Hotel Villa Igiea di Palermo, l’Hotel delle Palme, sempre di Palermo, gli Excelsior di Palermo e di Catania e il San Domenico di Taormina: alberghi di proprietà del Banco di Sicilia finiti per una manciata di soldi al gruppo Acqua Marcia dei Caltagirone).
Quella che si sta perpetrando in questi ultimi tempi è lo smantellamento dei Cantiere navali di Palermo, l’ultima struttura industriale del capoluogo siciliano rimasta in piedi dall’epoca dei Florio ai nostri giorni. Un secolo di presenza industriale nella nostra città.
Prima di passare alle notizie di dettaglio sui Cantieri navali, vogliamo sottolineare il senso di questa lunga premessa per la ragione che Fincantieri è una società pubblica e quindi in qualche modo opera in sintonia con gli indirizzi di politica industriale che il governo promuove. Di conseguenza, i pronunciamenti programmatici del presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell’Economia, professor Monti, in qualche modo dovrebbero influenzarne gli orientamenti.
Vediamoli un po’ più da vicino, i Cantieri navali di Palermo. In atto dispongono di cinque bacini di vario tonnellaggio, da 10 mila a 400 mila tonnellate. I bacini di tonnellaggio intermedio sono, in progressione, da 19 mila, da 52 mila e da 150 mila tonnellate. Quest’ultimo è quello su cui si dovrebbe puntare per il futuro, vista la funzione strategica da assegnare ai Cantieri navali del capoluogo dell’Isola. Ed è su questo bacino che si sta procedendo alla ristrutturazione e all’ammodernamento, iniziato dall’autorità portuale e ora in fase di sviluppo a seguito dell’intervento finanziario della Regione siciliana. Per la sua definizione, però, mancano 6o milioni di euro che secondo gli accordi sottoscritti, dovrebbero essere apportati dal ministero per lo Sviluppo economico.
Dello stanziamento della Regione siciliana finalizzato a rendere i Cantieri navali di Palermo dotati delle strutture produttive moderne ed altamente produttive sono già stati indetti due bandi: il primo di 10 milioni di euro per la ristrutturazione del bacino di 19 mila tonnellate, il secondo di 34 milioni di euro per il bacino di 52 mila tonnellate.
Secondo gli accordi raggiunti nei mesi scorsi, quando si paventava la possibilità di un ridimensionamento dell’organico dei Cantieri di Palermo, Pino Apprendi, parlamentare regionale del Pd, che per ragioni familiari e sensibilità politica ha qualche legame con la storica azienda palermitana, ha dato vita agli ‘stati generali’ di questo particolare polo industriale. Una mobilitazione che ha portato agli esiti attuali, nei quali la Regione siciliana è quella parte che ha tutte le carte in regola per giocare la partita del rilancio produttivo degli stessi Cantieri navali.
Va segnalato che la ragione di fondo dell’intesa era che non venissero toccati i livelli occupazionali. E’ questa la ragione di fondo per la quale l’assessore regionale alle Attività produttive, Marco Venturi, ha convocato la riunione per verificare se ci sono ripensamenti circa gli accordi assunti dalle parti in precedenza: e cioè che i Cantieri navali di Palermo, nelle strategie industriali di Fincantieri, dovessero assumere il ruolo di riferimento per la realizzazione del seguente programma: ricerca, progettazione, costruzione, nonché riparazioni e trasformazioni navali, costruzione di navi passeggeri a basso impatto, di navi oceanografiche, di rimorchiatori, di piattaforme petrolifere, di navi gasiere e di navi per la trasformazione dei rifiuti. Su queste posizioni, peraltro, è decisamente fermo il sindacato, come tiene a precisare Francesco Piastra della segreteria della Fiom-Cgil di Palermo.
Questi sono i motivi che ci portano a definire che quella che Fincantieri sta perpetrando è un’ulteriore rapina. Togliere ai Cantieri navali di Palermo 140 unità lavorative ad un organico ridotto ormai a 555 unità è un’operazione che prelude alla definitiva chiusura mediante la classica procedura della ‘coda di topo’. Portare l’organico ad appena 400 unità lavorative, eliminando in un sol colpo il 30 per cento dell’attuale organico. Altro che i 6000 operai di qualche anno addietro!
La nota di cronaca è costituita dal ricatto di stampo marchionniano avanzato dalla Fincatieri: sospendete lo sciopero perché rischiamo di perdere le commesse esistenti, in quanto gli armatori minacciano di ritirare gli ordini in atto.
Aspettiamo di capire cosa succederà negli incontri previsti la prossima settimana. Anche se nessuno ci leva dalla testa che Fincantieri vuole chiudere i Cantieri navali di Palermo.Per impedirlo serve una grande mobilitazione popolare. Saprà, Palermo, salvare una sua azienda industriale storica?

 

Riccardo Gueci

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