In mezzo ai tanti facili slogan ai quali ci siamo da tempo abituati, c’è chi tenta con pazienza e dedizione di restituire un racconto del nostro territorio più aderente alla realtà, ben più complicata di quanto le frasi ad effetto non dicano. È, se vogliamo, una comunicazione di questo tipo quella veicolata da Solidaria, cooperativa palermitana nata del 2002 che racconta mafia e antimafia senza ricorrere ai soliti fronzoli o luoghi comuni. Ben lontana da quella comunicazione ormai propria anche dei grandi appuntamenti sul tema che da anni rimane sempre la stessa. «Abbiamo iniziato occupandoci di assistenza alle vittime di racket e di usura, contiamo almeno 150 consulenze realizzate negli anni, questa è l’attività fondante. E poi, mano a mano, abbiamo iniziato a occuparci di educazione alla legalità, promuovendo ad esempio il premio Libero Grassi, che quest’anno giunge alla XV edizione», racconta uno dei sei soci di Solidaria, Totò Cernigliaro.
Attività lavorativa e impegno sociale per creare lavoro. È questo l’imprescindibile binomio a cui Solidaria guarda ormai da diciassette anni. I progetti, infatti, da quelli realizzati o che sono ancora in cantiere, mirano tutti a «produrre una costanza lavorativa». Come mani&radici, un progetto finanziato dalla Tavola Valdese con l’Otto per mille, che ha permesso di realizzare la cucina sociale dedicata a una vittima della mafia, Francesco Paolo Pipitone, inaugurata lo scorso febbraio in occasione della Festa di ripartenza del progetto MandarInArte, curato da Solidaria insieme all’associazione Acunamatata. Ripartendo dalla storica sede di via Funnuta, a Ciaculli, in passato ostaggio dei boss della mafia e, in tempi più recenti, di un’occupazione abusiva che l’ha deturpata e privata di tutto. Mani&radici, però, è prima di tutto un marchio di Solidaria, legato alla produzione di prodotti e servizi.
Un marchio che nasce da storie, ideali e speranze di persone che intendono contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e allo sviluppo economico e sociale dei luoghi in cui operano. Persone accomunate dagli stessi valori: la tutela dei diritti delle persone, la giustizia sociale, il rispetto dell’ambiente, la sobrietà dei comportamenti in campo socio-economico. Persone che rifiutano qualsiasi forma di condizionamento mafioso, anche genericamente criminale, impegnate in prima persona a valorizzare l’uso sociale dei beni confiscati alla mafia. Sono questi i valori che caratterizzano i prodotti e i servizi mani&radici nonché le relazioni che s’intendono promuovere tra produttori, operatori sociali e cittadini. Mani&radici vuole essere contenitore di tante esperienze ma vuole anche espandersi verso altri saperi e conoscenze, partendo dal presupposto che dando il giusto valore alle cose si può costruire un mondo migliore.
Un messaggio che tenta con passione di mettere in circolo attraverso i prodotti che realizza, acquistabili attraverso il sito omonimo mani&radici: ci sono gli alcolici (vini, birre e liquori come il Tardivu), le conserve (marmellata di mandarino, la tardiva), frutta e ortaggi. Ma ai prodotti si aggiungono anche i servizi, come i viaggi d’istruzione per gli studenti e i corsi di formazione dedicati ai docenti delle scuole medie e delle superiori, che in passato hanno coinvolto anche alcune università, da quella di Palermo alla Kore di Enna. Ma è ai giovani che si punta in particolare, e sul loro protagonismo. Con l’obiettivo di introdurli all’esperienza sociale e di cooperazione, attraverso attività agricole, industriali, commerciali o servizi, finalizzate tutte all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. «Puoi riempire i giovani di nozioni o semplici emozioni, ma quelle durano poco, devi dargli la voglia di conoscere e di partecipare, di essere soprattutto cittadino», spiega Cernigliaro.
«Una delle tante litanie e illusioni di oggi è quella dell’essere onesti conviene, ma non è vero – continua -, conviene se lo siamo tutti. La prima cosa da dire ai giovani è che viviamo in una società ingiusta, per questo la vogliamo cambiare. Le cose vanno male perché la società è contorta, non puoi fare finta col ragazzino, che poi crescerà e vedrà come funzionano le cose, un po’ si sentirà preso in giro o no? Quindi dobbiamo fornirgli degli strumenti di riflessione, fare emergere in loro la voglia di capire e conoscere il mondo e, cosa fondamentale, conoscere il proprio territorio. Non può esserci solo il racconto di dove sono stati ammazzati tizio e caio». Un impegno, quello di Solidaria, che non si appoggia a discorsi di circostanza, frasi fatte e slogan a effetto, che funzionano giusto il tempo di essere urlati nelle piazze. Ma non è affatto semplice mettere in piedi un dialogo su quello che sostanzialmente in pochi vogliono davvero sentire. Per consolidare questo impegno ci vuole tempo, ci vuole costanza. Caratteristiche che Solidaria può, però, ben vantare.
Tanti i temi troppo poco raccontati e, a volte, troppo male. Temi che non tutti sanno affrontare, come quello delle vittime di usura. «Parliamo, in molti casi, di soggetti che tentano di risolvere i propri problemi economici senza denunciare l’usuraio, che è l’unico soggetto che anche a costi pesanti gli dà ancora del denaro, e cercano quindi una mano per rientrare nell’economia legale senza però denunciare la propria reale situazione, accampando scuse per giustificare una crisi economica – spiega Cernigliaro -. Quando gli si chiede conto e ragione, negano fortemente di essere vittime di usura e in alcuni casi si allontanano. Sono fenomeni complessi che non possono avere una risposta semplice o semplificata. È facile creare slogan, ma la realtà è molto più complicata». Un fenomeno abbastanza diffuso a Palermo, ad esempio, è quello per cui se mi hanno rubato il motorino, prima di andare a fare la denuncia, vado dal boss del quartiere per cercare di riaverlo, e quello si adopera anche se magari a rubarlo è stato un delinquente qualunque.
«È quella che Umberto Santino ha definito la signoria territoriale. Se io so che c’è la mafia imparo a conviverci, ci sono delle relazioni che evidentemente non sono facili da smontare. Conosciamo persone che sono andate dal boss di turno per chiedere il permesso di aprire un nuovo negozio nel quartiere – racconta ancora -. Parliamo insomma di cose che sono complicate e che si sono incancrenite nel tempo, ci sono anche segnali positivi e cambiamenti, ma non possono saltare fuori dall’oggi al domani. Ancora oggi allo Zen si vandalizza una scuola percepita come simbolo dello Stato». Ma i segnali positivi, malgrado tutto, ci sono, ed è bene raccontarli. «Se oggi ci sono commercianti che non hanno più bisogno delle intermediazioni delle associazioni antiracket è perché evidentemente hanno maturato una fiducia tale nelle forze dell’ordine che sentono di poter avviarsi alla denuncia e a tutto quello che ne conseguirà anche da soli. E questo è un bene. Ora ci sono risultati, operazioni, condanne, e molta gente non ha più paura di andare a denunciare da solo, credo sia anche frutto di questi oltre 25 anni di attività fatta nelle scuole».
Resta forse, ancora oggi, una situazione a macchia di leopardo, e ancora sbilanciata, «ma ci sono -ripete con forza – anche esiti positivi, di cui forse si parla poco e male, la strada è comunque lunga. Lasciamo i facili slogan, torniamo a studiare e a riflettere sui cambiamenti, anche della stessa mafia, ci sono una serie di situazioni che andrebbero rivalutate», e a cui contrapporre in egual misura un discorso che, ad oggi forse, non si è ancora ben adeguato, rimanendo drammaticamente identico a se stesso.
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