Quattordici anni. Questa la pena decisa dal gup di Caltanissetta per Antonello Montante, l’imprenditore di Serradifalco finito al centro dell’inchiesta per la rete di spionaggio composta anche da uomini delle forze dell’ordine e politici. Per l’ex numero uno di Confindustria Sicilia, la sentenza di primo grado nel processo in abbreviato – rito che consente all’imputato di godere dello sconto di un terzo della pena – è arrivata in serata.
L’accusa, rappresentata dal procuratore capo Amedeo Bertone e dai pm Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, il 23 aprile aveva chiesto una condanna a dieci anni e mezzo. Nei confronti di magistrati e giudici nisseni nei mesi scorsi, i legali di Montante, gli avvocati Carlo Taormina e Giuseppe Panepinto, avevano sollevato l’ipotesi di incompatibilità per via del presunto condizionamento che sarebbe derivato dai passati rapporti con l’imputato, per anni simbolo dell’antimafia. Su questo punto però si è espressa la Cassazione, dichiarando che il processo poteva proseguire nelle aule del tribunale di Caltanissetta. Tra i motivi che hanno portato alla sbarra Montante – da mesi ai domiciliari, dopo quasi un anno di carcere, per motivi di salute, legati a stati di ansia e depressione – c’è stata anche l’accusa di associazione a delinquere. Ipotesi questa in un primo tempo messa in discussione non solo dalla difesa, ma anche dalla Cassazione, ma che poi è stata riconfermata dal tribunale del Riesame.
Oggi la gup Graziella Luparello si è pronunciata anche nei confronti degli altri imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Tra loro l’ex ispettore di polizia Diego Di Simone, che è stato condannato a sei anni e quattro mesi per avere fatto da tramite tra Montante e gli esponenti della polizia, che avrebbero favorito l’ex numero di Sicindustria. Di Simone si sarebbe reso protagonista anche della violazione della banca dati con l’obiettivo di fornire informazioni per le attività di dossieraggio di Montante. La sentenza è arrivata anche per Marco De Angelis: il funzionario della questura di Palermo è stato condannato a quattro anni. L’accusa aveva chiesto poco meno di sette anni. I pm avevano chiesto invece due anni e otto mesi per l’ex funzionario dello Sco, e oggi questore di Vibo Valentina, Andrea Grassi; il giudice oggi ha deciso per una condanna più lieve: un anno e quattro mesi. Condanna a tre anni per Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della guardia di finanza di Caltanissetta. Confermata la richiesta per Alessandro Ferrara, ex dirigente generale del dipartimento regionale alle Attività produttive. Nei suoi confronti, infatti, l’accusa aveva chiesto l’assoluzione.
Le indagini hanno fatto emergere un sistema rodato per accedere a informazioni riservate. Un secondo filone resta aperto e coinvolge politici illustri a partire dall’ex presidente della Regione Rosario Crocetta, con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti, ma anche le figure che hanno avuto a che fare con l’organizzazione di Expo 2015. I pm nella requisitoria finale hanno sottolineato come in media si siano registrati nove accessi abusivi ogni tre mesi per un arco temporale di sette anni. Obiettivi del dossieraggio sarebbero stati alcuni collaboratori di giustizia, ma anche l’ex presidente dell’Irsap Alfonso Cicero (parte offesa e parte civile), e l’ex assessore regionale e magistrato Nicolò Marino. Ad avere un ruolo anche una serie di talpe istituzionali, i cui nomi restano ancora ignoti. «Mentre noi lavoravamo di giorno, qualcuno di notte disfaceva le indagini», ha denunciato il pm Luciani.
Per gli avvocati difensori, invece, Montante ha operato all’insegna dell’antimafia quasi per dieci anni e mezzo. «Pare che la pubblica accusa si sia ispirata a questo concetto: dieci anni e mezzo hai governato, dieci anni e mezzo stai in galera. Forse è una casualità ma a me è venuto in mente proprio questo», ha detto Taormina, che poi ha sottolineato che dietro all’imprenditore non c’è alcuna ombra mafiosa. «Qui c’è anzitutto da prendere atto che da un punto di vista di implicazioni di carattere mafioso non ce ne sono assolutamente. Si tratta poi di capire se all’interno di questo percorso ci possano essere state delle situazioni che non siano andate secondo quello che avrebbe voluto la legge e questo sarà oggetto di accertamento». Per Taormina, infine, l’imprenditore continua a essere un vessillo dell’antimafia. «Rivendichiamo la titolarità in capo a Montante di essere stato e di essere ancora il vessillo dell’antimafia e chi lo vuole abbattere è il potere mafioso che è riemerso, purtroppo allineato a quello giudiziario che inconsapevolmente sta dando un forte contributo alla sua vittoria».
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