Siracusa, dipendenti di un bar pagati 500 euro per 8 ore Costretti a restituire metà stipendio, società sequestrata

Sarebbero stati pagati circa 500 euro per lavorare otto ore al giorno in un bar, senza mai un giorno di riposo o di ferie. Ma sulla carta, o meglio sugli assegni che ricevevano, lo stipendio avrebbe superato i mille euro. Soldi che però dovevano restituire, in nero, ai titolari. E quando qualcuno ha cercato di farsi aumentare di cento euro la paga, sarebbe stato licenziato. Per questo sei persone sono state denunciate per estorsione aggravata in concorso e beni mobili e immobili dal valore di almeno 200mila euro sono stati sequestrati. Succede in un paese della zona Sud della provincia di Siracusa, di cui i carabinieri dell’ispettorato del lavoro che hanno svolto le indagini, hanno preferito non rivelare il nome. Il bar al centro degli accertamenti si trova all’interno di un rifornimento di benzina della Esso. 

Gli investigatori hanno sequestrato le quote di due società, riconducibili alle stesse persone che, in comodato d’uso, hanno gestito sia il bar che il rifornimento. A essere sfruttati, infatti, non sarebbero stati solo i dipendenti della prima attività, ma anche il lavoratore che si occupava della pompa di benzina, a cui, sottolineano i carabinieri, «venivano imposti turni massacranti, di 12 ore al giorno, per 800 euro, anziché 1.500 come sarebbe stato giusto secondo la legge». 

In base a quanto ricostruito, questo sistema andava avanti dal 2006. I primi scricchiolii si registrano quando una barista, stanca di essere pagata poche centinaia di euro, chiede un aumento di cento euro al mese, anche in ragione del fatto di aver avuto un bambino e di avere il marito disoccupato. A fronte della richiesta, però, la donna sarebbe stata licenziata. Stessa sorte, poco dopo, per un’altra dipendente che aveva usufruito di un periodo di malattia. Terza vittima sarebbe stata uno degli addetti al rifornimento di benzina, mandato a casa per essersi lamentati della paga troppo bassa. 

A peggiorare la situazione era subentrato anche una novità al sistema. Dopo che il governo Monti ha introdotto l’obbligo della tracciabilità per i pagamenti superiori ai mille euro, i titolari avrebbero cominciato a pagare i dipendenti con assegni del valore di oltre mille euro. «In realtà – sottolineano i carabinieri – ai dipendenti veniva imposto di andare in banca a scambiare l’assegno per restituire immediatamente circa la metà dello stipendio. In questo modo l’azienda era formalmente a posto in caso di controllo ispettivo, perché poteva dimostrare di avere retribuito i dipendenti come da contratto, potendo mostrare come riprova l’assegno incassato dai dipendenti che coincideva con la busta paga sottoscritta». Questo stratagemma ha comportato altre conseguenze fiscali: la società ha potuto detrarre i costi per lavoro dipendente che in realtà non aveva mai sostenuto, risultando in regolare con i contributi. Mentre i lavoratori sono stati costretti a pagare tasse su un reddito soltanto dichiarato, ma in realtà mai ricevuto. Il danno economico a loro carico è stato quantificato in 200mila euro. 

Durante le indagini, coordinate dalla sostituta procuratrice Margherita Brianese, l’azienda è stata controllata sotto il profilo contributivo e fiscale, e in più sono stati svolti degli appostamenti per verificare l’orario di effettivo lavoro dell’unico dipendente ancora assunto, sulla carta retribuito come se fosse un part-time, ma in realtà con turni di oltre 12 ore al giorno. Ulteriore riscontro è arrivato anche dall’acquisizione degli assegni. A fronte di questi elementi, il Tribunale di Siracusa, su richiesta della locale Procura, ha disposto il sequestro preventivo. «Purtroppo – denunciano dal nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri – questo particolare sistema di sfruttamento si è rafforzato dopo l’obbligo di tracciabilità dei contanti, ma i soggetti che si macchiano di questi reati adesso sanno che vanno incontro al sequestro della società».

Salvo Catalano

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