«S’io fossi sindaco»… Toti Domina

Mentre arriva trafelato in via Crociferi, Toti Domina – tra il serio e il faceto – afferma che «la prima cosa da sistemare a Catania è il traffico». Quando poi ci sediamo al tavolo di un bar, le parole che risuonano più di frequente sono “noi” ed “esperienza al Gapa” (il centro di aggregazione popolare dove Domina lavora come volontario): i segni più marcati della sua esperienza ventennale tra gli abitanti del quartiere di San Cristoforo.

Parla dei progetti per Catania, Toti Domina, candidato sindaco per la lista civica “Liberare Catania” (che raggruppa società civile e movimenti con i Verdi, Rifondazione Comunista e Sinistra Democratica), ma non usa quasi mai la prima persona singolare, quasi fosse la “faccia” di un candidato collettivo.

In tre parole qual è il suo programma per Catania?
«Bambini, diritti e democrazia partecipata. Una città a misura di bambini, che, paradossalmente, è anche a misura di adulti. Una città in cui possiamo prenderci i nostri diritti: i diritti delle donne, dei migranti, alla salute, al lavoro. Una città in cui i cittadini possano riappropriarsi della politica, che significa anche avere strumenti per sapere quello che succede in città, avere i desideri da portare avanti, contare di più. Tutto quello che si chiama democrazia partecipata o partecipazione dal basso».
 
Di chi è la responsabilità del buco nel bilancio del Comune?
«La responsabilità è stata soprattutto delle ultime giunte Scapagnini. Il problema è che nessuno ha avuto il coraggio né lo avrà di dire a quanto ammonta il dissesto. Ci saranno degli aumenti inimmaginabili, con una rivolta popolare senza precedenti e a pagarne le conseguenze saranno i cittadini, in tutti i sensi».
 
Una delle voci più consistenti riguarda le consulenze esterne…
«Per quanto è possibile bisogna utilizzare le risorse interne in una riorganizzazione della macchina comunale che deve premiare chi è meritevole e non chi è al posto giusto…».
 
Non si potrebbero utilizzare dei consulenti dell’Università di Catania?
«Secondo me ha anche delle colpe l’università, molto spesso sta chiusa nei salotti e dovrebbe uscire di più. Noi invece abbiamo delle esperienze positive fatte al Gapa con il Dau, Dipartimento di architettura e urbanistica; abbiamo fatto delle cose interessanti anche a Librino. Questo è un esempio di apertura dell’università alla città in maniera positiva».
 
Catania è una città universitaria che ha un bacino di studenti molto ampio e attira anche ragazzi dall’estero. Cosa fare per migliorare il rapporto tra la città e questi studenti?
«Mancano dei momenti, anche programmati, in cui sia i viaggiatori che gli studenti possano ritrovarsi e conoscere la realtà in cui si trovano, delle opportunità anche relazionali con la città. Bisognerebbe creare delle occasioni puntuali».
 
Tornando al nostro primo argomento, il traffico, cosa pensa delle strisce blu tanto odiate dai catanesi?
«Sulla questione strisce blu ho l’impressione che ce ne siano troppe. Il problema è sempre quello del ricatto del lavoro: alcuni dicono “Iu travagghiu cu sta cosa”. Io lo capisco, però credo che ci sia una città che stia svendendo il pubblico alla gestione di privati; su questo siamo molto critici».
 
E per quanto riguarda i residenti?
«Sotto casa io devo avere il diritto di poter posteggiare gratuitamente negli spazi riservati ai residenti».
 
Un altro problema molto sentito è quello delle buche nelle strade.
«Le buche ci sono e io rischio con la moto! I problemi di Catania, che sono la spazzatura, le buche, il traffico, sono da risolvere e sono delle priorità; ma il nodo principale è il piano regolatore della città: Catania è come una casa, se manca il progetto generale, il pavimento un giorno o l’altro crollerà».
 
Quindi il problema principale è il piano regolatore?
«Certo. Si ha l’impressione che sia alla mercé dei comitati d’affari che decidono e influenzano giunta e consiglio comunale, il tutto condito da un’informazione puntuale e blindata. Il centrodestra ha dimostrato di non avere alcun interesse a cambiare lo stato delle cose. Ma non credo che se vincesse il Pd di Burtone la situazione migliorerebbe».
 
Su cosa basa quest’ultima affermazione?
«Su un dato di fatto: la questione del piano regolatore partì nel ’93 con grandi propositi e piano piano è andata a scemare, fino al punto che questo non è stato approvato… Io, ma non soltanto io, do moltissima responsabilità all’ex sindaco Enzo Bianco: non c’è stata la volontà politica di incidere su questo nodo. Ho la sensazione che non ci sarà neanche in futuro».
 
Lei dice di voler mettere al centro della sua azione politica la persona, le sue esigenze, i suoi desideri. Come pensa di conciliare la domanda di maggiore sicurezza da parte della gente con la cosiddetta “questione rom”?
«Io resto perplesso quando noi catanesi riteniamo che il problema sicurezza riguardi gli immigrati, i rom, quando qui c’è una delinquenza, minorile e non, altissima. Potrei capire – ma non la condivido – questa logica in qualche paesino del nord Italia, qui resto esterrefatto. Credo che la questione dei rom sia stata creata ad arte, che si stia creando il mostro per nascondere i veri problemi dell’Italia e di Catania. Sento dire però, con chiunque parlo, che il problema sono “i cinesi alla fiera”, “i rom che fregano i bambini e rubano”, “l’immigrato che toglie il lavoro”… Occorre lavorare moltissimo da un punto di vista di educazione all’intercultura e all’alterità, al rispetto del diverso. Alcune persone al mercato mi hanno detto “A lei u votu nun ciu rugni picchì lei addifenni all’immigrati… Tutti si cinisi a fera”. E allora io gli ho raccontato cosa fanno quelli che non difendono gli immigrati: comprano botteghe nella zona di Piazza Carlo Alberto e le affittano a prezzi esorbitanti… ai cinesi, ovviamente».
 
La sera del 14 aprile Claudio Fava definì la sinistra “vecchia, auto-referenziale, litigiosa e in alcuni casi insopportabile”. Cosa è cambiato in quasi due mesi?
«I partiti di sinistra sono litigiosi, vecchi. Io ho scoperto e rivendico di essere di sinistra, laddove sinistra significa la possibilità di optare per i deboli, per i precari, per i lavoratori. Tutte queste battaglie sono di sinistra e non sono – con tutto il rispetto – né di Fava, che è il capolista di Liberare Catania, né di Veltroni, né di Fassino, né di Licandro né mie. La sfida è quella di ripartire da queste battaglie e da chi in silenzio le ha fatte».
 
Il suo programma elettorale sembra una proposta di “rivoluzione”: lotta a precariato e lavoro nero, no all’inquinamento, diminuzione dei patronati, risanamento del bilancio, iniziative culturali e multietniche… è un progetto molto ambizioso e forse un’accusa che le si può fare è di essere poco realista.
«Io non ho fretta perché sono molto realista e riconosco che c’è una città allo sbando. A chi mi chiede “Ma lei davvero pensa di fare il sindaco?” Io dico sì: se non ci riesco fra due settimane ci provo fra quattro-cinque anni. Se non ci riesco, ci riprovo fra dieci anni. Sono molto determinato: non io Toti Domina, ma quello che rappresento grazie a centinaia di persone che sono con me. La cosiddetta “Realpolitik” ha portato Catania sull’orlo del baratro: io non ci sto per me, per i miei bambini, per i bambini del Gapa, per i miei genitori, per tutti quelli che in questa città hanno voglia di cambiare veramente».
 
Siamo arrivati al momento del nostro “esame di catanesità”. Partiamo dalla formazione del Catania.
«Troppo facile! (Domina si accosta, con un movimento quasi fulmineo, ancora di più al tavolo e con un dito disegna lo schema della formazione rossazzurra, ndr). Normalmente Polito è stato in porta, anche se Bizzarri l’ha sostituito. In difesa abbiamo Silvestri, Terlizzi, Stovini e Vargas. A centrocampo abbiamo Colucci, Baiocco, Tedesco, Vargas o Sabato. Le punte erano Martinez, Mascara, Spinesi sostituito alle volte da Morimoto o Pià».
 
Qual è la sua bevanda preferita al chiosco?
«Lo sciampagnino dallo Zio Costa in piazza Spirito Santo».
 
Quanto costa un arancino?
«Dipende dal posto. Comunque io preferisco la cipollina al Caffè Firenze in piazza Rosolino Pilo».

Carmen Valisano

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