Sindaca per Musumeci è «integralismo linguistico» La linguista: «È solo una regola della grammatica»

«Integralismo istituzionale». Così il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci ha etichettato l’intervento della consigliera regionale di parità Margherita Ferro in merito alla vicenda della prima cittadina di Augusta Cettina Di Pietro che rifiuta di essere chiamata sindaca. «Allora io la chiamo Giancarla. Ho deciso di chiamarla Giancarla», aveva risposto stizzita, dalla sua poltrona dell’aula consiliare, al consigliere comunale di Leu Giancarlo Triberio.

L’intervento della rappresentante dell’assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche sociali e del Lavoro arriva in risposta a una lettera inviata da quattro cittadine augustane «deluse, amareggiate e basite perché qualcuno nella posizione di massimo potere amministrativo esplicita un comportamento discriminatorio». Adesso, in un comunicato ufficiale, Musumeci prende posizione in modo netto: «Stigmatizzo e dissento dalle dichiarazioni della consigliera di parità per un intervento assolutamente inopportuno e inappropriato, oltre che privo di qualsiasi fondamento giuridico – ha scritto – La coniugazione al femminile di una carica istituzionale, infatti, appartiene esclusivamente alla libera autonomia di chi la ricopre». 

In realtà non è proprio così. «Il cuore della questione – spiega a MeridioNews Cecilia Robustelli, studiosa del linguaggio di genere che ha collaborato con l’Accademia della Crusca, con il Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio e con il Miur – è che la lingua italiana ha due generi grammaticali e prevede l’uso del maschile per gli uomini e del femminile per le donne. È una regola del sistema della lingua italiana che applichiamo normalmente, abitualmente». 

Ragioniera, parrucchiera, pasticcera e fornaia non suonano più in modo strano. «Questo perché, man mano che le donne sono entrate nella vita lavorativa, i nomi che indicano mestieri o professioni sono stati declinati al femminile e, in questi casi, nessuno le chiamerebbe con il corrispettivo maschile. Stesso discorso – aggiunge Robustelli – è valso quando le donne sono entrate nelle istituzioni». Il linguaggio si adegua e «non si può dire “faccio come mi pare” perché i sostantivi poi vanno anche concordati con il genere degli aggettivi e dei participi». 

Un motivo per non trasgredire le regole grammaticali è poi anche quello della chiarezza nella comunicazione. «Farlo significa creare ambiguità che il linguaggio istituzionale, a maggior ragione, – continua la linguista – non può sopportare perché deve essere più chiaro possibile. Altro aspetto fondamentale – conclude – è quello socio-culturale: anche attraverso la lingua si mostra il percorso di crescita delle donne, il loro essere diventate soggetti attivi anche in settori nella società prima riservati solo agli uomini».  

«Ritengo che la consigliera di parità – continua il comunicato di Musumeci – che conosco e apprezzo da tempo, dovrebbe occuparsi di ben altri problemi, invece che richiamare, senza averne titolo, un sindaco (la sindaca di Augusta, ndr) eletto direttamente dal popolo, cedendo così a un integralismo linguistico che non aiuta certo a migliorare le condizioni di disparità delle donne in Sicilia». Il consigliere Triberio intanto ha esternato il proprio sostegno nei confronti di Ferro. «Dopo le inaccettabili dichiarazioni del governatore – afferma – è evidente che la strada da percorrere sulla parità di genere è ancora lunga e tutta nuovamente in salita».

La sindaca Di Pietro, sul suo profilo Facebook, ha pubblicato una foto che la ritrae insieme a Musumeci per ringraziarlo «per la sua presa di posizione che rispecchia esattamente il mio sentire». Un sentire che la sindaca aveva espresso bene anche in un recente documento ufficiale, protocollato e su carta intestata del Comune di Augusta, in cui premette che «in questi quasi quattro anni e mezzo di mandato, ho ripetutamente sottolineato la volontà di essere appellata “sindaco”. Il perdurante utilizzo del termine “sindaca” – risponde a due consiglieri comunali che si erano rivolti a lei utilizzando il sostantivo al femminile – anche in note ufficiali, appare come una autentica mancanza di rispetto alla carica, altrimenti detto “sgarbo istituzionale“». 

Marta Silvestre

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