Il Governo regionale fa sapere che sarebbe già pronto il progetto per istituire i Consorzi di Comuni, secondo quanto previsto dallarticolo 15 dello Statuto autonomistico siciliano. In realtà, lo scenario potrebbe essere un po diverso. Molto diverso. Proviamo a capire – anche alla luce di alcune indiscrezioni – che cosa potrebbe succedere in autunno.
Stando a indiscrezioni, il Governo regionale, non in applicazione dellarticolo 15 dello Statuto, ma per risparmiare, avrebbe intenzione di ridurre i Comuni siciliani da 390 a poco meno di 200. Questo verrebbe fatto con un atto dimperio, con la scusa che i piccoli Comuni sono tutti in deficit. Infatti, ad essere sacrificati sarebbero i Comuni con meno di 5 mila abitanti. La provincia più colpita dal taglio dei Comuni sarebbe Messina. Nella provincia dello Stretto oggi si contano 108 Comuni – alcuni molto piccoli – che, stando a indiscrezioni, verrebbero ridotti a una ventina.
Il progetto di riduzione dei Comuni e di creazione di Comuni più grossi è in atto già da mesi, anche se in modo nascosto e proditorio. A creare i presupposti per la drastica riduzione dei Comuni è la situazione finanziaria, in buona parte creata ad arte.
Al di là dei proclami, il Governo regionale non ha cambiato nulla nella gestione dei rifiuti. Si sa soltanto che a gestire la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, nel futuro, dovrebbero essere i Comuni. Quali? Questa è una bella domanda.
La risposta è nelle cose. La gestione dei rifiuti, organizzata per favorire le discariche, in buona parte gestite dai privati (e in alcuni casi dalla delinquenza organizzata), ha distrutto buona parte dei bilanci comunali. In parte la stessa cosa è stata fatta con lacqua, che è ancora nelle mani dei privati (e tale deve restare, secondo il Governo regionale).
Il colpo di grazia, ai Comuni – cosa, questa, che è stata fatta scientemente – è arrivato lo scorso aprile, in sede di approvazione di Bilancio e Finanziaria 2013. Quando i trasferimenti ai Comuni con meno di 5 mila abitanti sono stati drasticamente ridotti. Questo il Governo regionale lha fatto sulla base di un disegno politico preciso: ridurli al fallimento per costringerli, tra qualche mese, ad accettare il taglio selvaggio degli stessi Comuni e la creazione forzosa di Comuni più grandi.
Lo ripetiamo: stando a indiscrezioni, i Comuni siciliani, da 390 circa, dovrebbero passare a circa 200. Di fatto, se ciò si verificherà, non saremo in presenza dellapplicazione dellarticolo 15 dello Statuto, ma della sua esatta negazione.
Ricordiamo che i padri dellAutonomia annettevano una grande importanza ai Comuni. Perché in Sicilia – come del resto in Italia – storicamente, ogni Comune fa storia a sé. Ogni Comune ha una propria storia, proprie tradizioni e, spesso, una propria lingua. Anche allinterno di una stessa provincia riscontriamo una grande ricchezza di dialetti. Luigi Pirandello, ad esempio, era un grande conoscitore dei dialetti della sua provincia, Agrigento.
Coscienti di questa grande tradizione culturale e antropologica, i padri dellAutonomia elaborarono larticolo 15. Che non aveva solo lobiettivo di eliminare il disegno delle Province, che in molti casi rispondeva a criteri militari e polizieschi (le repressioni di casa Savoia, allindomani della presunta unità dItalia dopo quellimbroglio storico che, almeno per il Sud, è stato il Risorgimento), ma anche quello di valorizzare proprio i Comuni. Non a caso larticolo 15 dello Statuto – che non abolisce la struttura intermedia tra Regione e Comuni, ma punta a sostituire le vecchie Province con liberi consorzi di Comuni, punta proprio sulla libertà dei Comuni siciliani di disegnare il proprio futuro.
In Sicilia, complice unUnione Europea che guarda solo agli aspetti economicistici, rischia di passare un disegno che è, come già sottolineato, lesatto contrario di quanto previsto dallarticolo 15 dello Statuto: la riduzione coatta dei Comuni, la creazione di Comuni più grandi frutto di fusioni tra gli stessi Comuni e la creazione di gabbie dove costringerli non a scegliere liberamente il proprio futuro, ma a sottomettersi ai dettami dellUnione Europea.
Ricordiamo – lo abbiamo già accennato – che la ricchezza culturale della Sicilia è legata anche alla storia e alle tradizioni dei propri Comuni. Se, nonostante il Risorgimento, nonostante Crispi, nonostante i Prefetti di Giolitti, nonostante i gerarchi fascisti e nonostante la Repubblica italiana molte delle tradizioni siciliane non sono andate perdute – a cominciare dalla lingua e dalle tante declinazioni del dialetto siciliano – ebbene, questo lo dobbiamo ai Comuni.
La fusione dei Comuni tra di loro, in Sicilia, avrebbe effetti deleteri sotto il profilo antropologico e culturale, prima che economico. Perché porterebbe, inevitabilmente, alla sopraffazione e alla scomparsa di culture e tradizioni.
Se, come si sussurra, si dovesse andare a una drastica riduzione dei Comuni – un taglio secco di 200 Comuni siciliani – il rischio sarebbe quello di compromettere definitivamente un patrimonio di cultura che ha resistito 150 anni persino a ununità dItalia che, oggi, proprio di fronte a una dilagante e inquietante Unione Europea delle banche e della finanza, mostra tutti i propri limiti.
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