Settant’anni di storia siciliana al Teatro Atlante con “Cianciana”

di Gabriele Bonafede

È arrivato finalmente a Palermo, lo scorso weekend, uno spettacolo che ha già fatto il giro d’Italia: “Cianciana” di e con Angelo AbelaMarco PisanoEugenio Vaccaro, drammaturgia di Milena Viscardi. Sono state solo due rappresentazioni che non sono andate in scena in un grande teatro ma in un piccolo, prezioso, teatro palermitano nel cuore del centro storico: il Teatro Atlante di Via d’Aragona, a due passi da Piazza Rivoluzione.

Ispirato, almeno nella prima parte, al romanzo di Giuliana Saladino ”Terra di rapina”, “Cianciana” ha un grande pregio: in poco meno di un’ora riassume, con lucida denunzia, la storia della Sicilia dal dopoguerra a oggi. Lo fa con la capacità di sbalzare quei fatti fondamentali che hanno definito la sconfitta politica, economica e sociale siciliana, purtroppo ereditata e presente ancora oggi.

Partendo dalla triste storia del rapimento, a Cianciana, del barone Agnello, e soprattutto dalle fallite lotte agrarie degli anni ’40, passando per una politica italiana, meridionalista e pseudo-europeista tanto fallimentare quanto chiacchierona, e atterrando sulle ondate emigratorie e le delusioni di eventuali ritorni, lo spettacolo è un crescendo di riflessioni, di denunzie, di godibili sfottò agli stereotipi della “bedda Sicilia”.

Attori e autori sono solo uomini: Angelo Abela, Marco Pisano ed Eugenio Vaccaro. Ma impersonano anche donne all’occorrenza, proponendo gag comiche e ironiche sulle mamme che rimangono in Sicilia mentre i propri figli vivono altrove da emigrati. E dunque fanno anche ridere e divertire, a volte amaramente e a volte con gusto, pur descrivendo una sconfitta intergenerazionale di proporzioni spaventose.

I tre si giovano di una scenografia tanto essenziale quanto indovinata: una ventina di ombrelli gialli poggiati per terra evoca i campi di grano come il pericolo, e forse anche il proverbio “calati iuncu ca passa la china”. Maschere, canottiere anni ’50 e pupi-spaventapasseri fanno il resto, grazie alla forte gestualità di un gruppo che sa parlare molto con il corpo oltre che con il testo. D’altronde, non è facile riassumere la storia di tre generazioni di siciliani in così poco tempo e spazio, e non è nemmeno l’obiettivo dello spettacolo, ma piuttosto il risultato d’insieme comunicato allo spettatore.

L’evocazione di fatti storici emblematici tramite movimenti del corpo e presenza sulla scena, persino la folla distratta dei comizi politici o l’”evoluzione” del sottosviluppo,  sono così assicurate con una semplicità simbolica, riuscendo a raccontare in poche decine di minuti ciò che interi volumi di storia non sempre chiariscono.

Stupisce che attori e autori non siano personaggi dello spettacolo conosciuti e di una certa età, e che magari abbiano vissuto più decenni della storia di Sicilia dal dopoguerra a oggi. Sono invece artisti di circa trent’anni: è quella generazione vissuta quasi esclusivamente nel periodo della deriva culturale berlusconiana.

Ma forse, anche per questo, per la loro freschezza ed estemporaneità nel vedere il mondo di mezzo secolo fa in rapporto a quello di oggi, sono riusciti a cogliere e riassumere in maniera così chiara lo spirito e il senso della storia siciliana degli ultimi settant’anni.

Si spera che “Cianciana” torni presto in scena a Palermo, e per più di due sere.

Gabriele Bonafede

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