Sequestrate sei aziende a Santo Massimino Imprenditore acese conteso da Cosa Nostra

Sono scattati i sigilli per le aziende dell’imprenditore Santo Massimino, condannato in primo grado a dodici anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo Iblis, ritenuto vicino alla famiglia catanese Santapaola-Ercolano. Sei le imprese finite sotto sequestro, operanti nel campo dell’edilizia e in quello della produzione di energia da fonti rinnovabili. Massimino, acese ed ex presidente dell’Acireale Calcio, con la sua Nica Group si interessava del noleggio di gru per l’edilizia. Tra i suoi lavori figurano i centri commerciali Sicilia Outlet e Katanè, e il parco eolico dell’Ennese in cui era coinvolto anche Vito Nicastri, imprenditore ritenuto vicino al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro. Per sua stessa ammissione è stato affiliato alla massoneria, in particolare nella loggia Cisalpina.

A seguito delle indagini dei carabinieri del Ros è emerso il ruolo di Massimino all’interno di Cosa Nostra: l’imprenditore metteva a disposizione le sue imprese, pagava la messa a posto, faceva partecipare alle sue attività imprese mafiose o a disposizione di Cosa Nostra, ottenendo in cambio facilitazioni e appalti, e mettendo in comunicazione altri imprenditori con la famiglia Santapaola. In particolare con quello che è stato individuato come l’ex rappresentante provinciale Vincenzo Aiello. «Così facendo – sottolineano gli investigatori – violava le regole della libera concorrenza e apportava un concreto contributo ai fini della conservazione, del rafforzamento e, comunque, della realizzazione anche parziale del programma criminoso di Cosa Nostra etnea».

Un caso emblematico dei vantaggi che Massimino riusciva ad ottenere dal rapporto con Aiello è testimoniato da una conversazione avvenuta nella casa di campagna di Giovanni Barbagallo, geologo condannato sempre nel rito abbreviato di Iblis per associazione mafiosa. Durante un summit, Aiello parla dei lavori al centro commerciale Katanè, allo svincolo con Gravina, fatti ottenere a Massimino grazie alla sua intercessione. E racconta di difficoltà dell’imprenditore acese a causa della presenza nel cantiere delle gru di un’altra ditta, quella di Salvatore Conti. Aiello ipotizza che questa novità sia legata ai suoi contrasti personali con Vincenzo Basilotta, altro imprenditore condannato in secondo grado per associazione mafiosa, nati da uno scontro sul controllo delle attività. L’ex reggente provinciale afferma che proprio quella sera avrebbe dovuto incontrare Massimino, su richiesta di quest’ultimo. Un interessamento – ricostruiscono i carabinieri – che effettivamente andrà a buon fine, visto che poco dopo i mezzi di Massimino torno al cantiere del centro Katanè.

La centralità di Massimino negli interessi di Cosa Nostra emergerebbe anche da un altro dato: il controllo sull’imprenditore acese diventa presto oggetto di contrasto tra Aiello e Angelo Santapaola, (cugino di Vincenzo Santapaola, condannato in Iblis a 18 anni, essendo ritenuto al vertice dell’organizzazione), all’epoca considerato reggente operativa della famiglia mafiosa di Catania. Angelo Santapaola non aveva infatti gradito che il controllo di Massimino era passato ad Aiello e proprio tale argomento viene affrontato tra i due uomini d’onore nel corso di uno scontro avvenuto la sera del 22 settembre del 2007. Esattamente quattro giorni prima dell’omicidio di Angelo Santapaola e del suo braccio destro Nicola Sedici. Delitto per cui sono stati condannati Aiello all’ergastolo e Salvatore Di Bennardo a tre anni e quattro mesi per favoreggiamento aggravato.

C’è un ultimo aneddoto: un bacio tra Massimino e Aiello registrato dalle telecamere dei Ros nella stazione di servizio in contrada Sferro di proprietà di Antonino Bergamo, condannato a quasi dieci anni per associazione mafiosa nel rito abbreviato di Iblis e ritenuto dai magistrati il braccio destro di Aiello. In quell’occasione l’imprenditore acese ha un occhio tappato da una benda, a causa dell’ischemia che lo ha colpito. Durante le udienze del processo, in merito a questa situazione, Massimino aveva raccontato ai giudici: «Lì ci passavo sempre, mi fermavo a prendere un panino o la pillola mentre andavo al mio cantiere a Castel di Judica. Era l’unico bar in quel deserto. In quel periodo ero al centro della mia ischemia, con il bastone e l’occhio tappato. Se quest’uomo arriva e mi dà un bacio, io forse nemmeno me ne sono accorto. Che facevo, lo schivavo? Me lo piglio e basta». Difesa a cui i giudici non hanno affatto creduto.

Salvo Catalano

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