Scuola croupier, da Palermo ai casinò internazionali  «Anche avvocati e ingegneri cercano un’occasione»

Solo fino a dicembre contano oltre 200 richieste di iscrizione, nonostante il corso per diventare croupier costi 3mila euro. Ma a Palermo, complice la fame di lavoro che da tempo attanaglia la fascia di età compresa tra i 18 e i 35 anni, la Scuola Croupier Courses International va a gonfie vele. Un successo vero e proprio che va avanti dal 2004, quando la fondatrice della scuola Christine Chilton si ritrova nel capoluogo siciliano per amore e sceglie – lei che è stata tra le prime croupier donna in assoluto – di fondare una scuola che oggi porta il suo nome e che, con l’apertura di un’altra sede a Catania, è l’unica del settore nel Sud Italia.

Nella sede di via Principe di Granatelli si perfeziona l’uso della lingua inglese insieme ai corsi di  Black Jack, American Roulette e Poker Hold’em. Lo slogan è accattivante: quando lavorare è un gioco. Oggi il gestore è Sergio Gattuso, che dal 2016 è subentrato, dopo la morte di Chilton, nella direzione della sede palermitana. È uno degli alunni più anziani, insieme alla moglie che ha conosciuto proprio grazie alla scuola.

«Non si tratta di una fredda formazione che si chiude appena termina la scuola – osserva Gattuso – ma si instaurano legami con gli allievi che durano nel tempo. Il mio caso è un esempio. Qui, in questi quattro mesi di corso i ragazzi crescono con noi. Molti poi fanno carriera e noi logicamente siamo orgogliosi di questo». Ne è testimone la pagina Facebook, ricca di testimonianze. I requisiti sono quelli che cercano i casinò: livello base di inglese e di matematica e fedina penale pulita (serve per operare all’estero per la licenza che viene rilasciata). Le selezioni per l’accesso alla scuola hanno cadenza bimestrale. Il corso si svolge in quattro mesi: cinque giorni a settimana, dalle 9 e 30 alle 18 e 30; costa 2400 euro più Iva ed è diviso in quattro rate da 600 euro più Iva a ciascuno. A cercare nuovi croupier sono casinò inglesi, maltesi e navi da crociera.

«Abbiamo determinati step – spiega ancora il gestore della scuola a Palermo -. C’è il primo colloquio che serve a capire se ci sono i margini per lavorare insieme; se si passa la prima fase c’è una settimana a titolo gratuito e non vincolante dove l’alunno scopre se questo lavoro gli piace e noi capiamo se lui ha le caratteristiche necessarie; alle decima settimana si fa un test di sbarramento in cui si esamina l’andamento e si dà il via libera ai colloqui con i casinò nelle quattro settimane finali. Insomma, ai colloqui di inserimento ci si arriva pian piano. Noi non vendiamo lavoro, facciamo formazione». 

Difficile, se non impossibile, lavorare in Italia: gli unici casinò esistenti sono nel Nord Italia e i criteri di selezione, considerando la natura ibrida tra pubblico e privato di queste strutture, sono molto obsoleti (ai croupier si chiede ad esempio la residenza). E il casinò di Taormina, di cui si discute da 50 anni e che ha visto impantanarsi anche gli ultimi governi Lombardo e Crocetta? «Per me si tratta di una leggenda metropolitana – dice Sergio –  non c’è la volontà di farlo davvero questo casinò in Sicilia. Per noi sarebbe fantastico e anche all’isola darebbe tantissimo. Ma bisogna considerare che solo a Malta i casinò sono cinque e ce n’è un altro in apertura, il mercato è molto competitivo e bisogna considerare pure la proibitiva tassazione italiana».

Ma che tipo di persone arrivano al corso, con quale tipo di percorso? «Di tutto – dice ancora il gestore della scuola – abbiamo avuto ingegneri e avvocati, io per primo facevo l’odontotecnico. C’è anche chi comincia con questo lavoro e poi si cimenta in altre professioni. La differenza è che chi va fuori fa carriera, ha la sua mobilità sociale, mentre a Palermo se uno nasce commesso muore commesso, al massimo hai qualche piccolo scatto ma professionalmente quello sei e quello rimani. In Inghilterra invece non succede, non se ne fanno nulla di un croupier di 60 anni». E quali sono i contro? «Avere a che fare con i giocatori non è facile – ammette Sergio – e poi non a tutti piace la vita notturna e in generale lavorare con questi orari. Sulle navi da crociera, poi, si lavora solo quando si naviga».

Quel che è certo che il mondo dell’azzardo non conosce crisi. Come sostiene lo stesso Gattuso, «tutti coloro che finiscono il corso poi lavorano, e proprio grazie alla nostra rigidità nelle selezioni. Da noi conta più la determinazione che le qualità, più l’attitudine che le competenze. Sono spesso i casinò che ci chiedono il lavoro, e i manager vengono direttamente qui o fanno i colloqui via skype o, terza modalità, siamo noi che mandiamo direttamente i ragazzi». All’estero, ovviamente. Perchè in Italia si gioca molto – oltre 90 miliardi di euro nel 2016 – ma si lavora poco nell’industria dell’azzardo. Ma questa è un’altra storia. 

Andrea Turco

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