«In qualità di coordinatore politico nazionale della Democrazia cristiana, congiuntamente al nostro segretario nazionale Antonio Cirillo, abbiamo adito l’autorità giudiziaria a tutela del nostro buon nome, dell’immagine e dell’integrità del partito». A dirlo è Fabio Desideri, coordinatore del partito che secondo sentenza della Cassazione è titolato a fare uso di insegne e nome della Democrazia cristiana storica, quella fondata nel 1943.
Nel mirino, ancora una volta, l’iniziativa di Totò Cuffaro e il congresso nazionale della sua nuova Democrazia cristiana, che ha partecipato regolarmente anche alle ultime elezioni amministrative in Sicilia, regione in cui è anche parte della giunta di governo con due assessori. «Questa iniziativa si è resa necessaria in relazione alla falsità delle dichiarazioni espresse – continua Desideri – rammentando, inoltre, la celebrazione di un congresso tra il 6 e il 7 maggio a Roma da parte di esponenti politici autodefinitisi democristiani».
Una guerra politica che non è destinata a estinguersi nel breve periodo, vista anche la ferma intenzione di Cuffaro di andare avanti per la sua strada, nonostante, come chiosa Desideri «le pronunce, già intervenute, da parte della magistratura civile, sia di merito che di legittimità, in relazione al simbolo e della denominazione della Democrazia cristiana, alla quale il logo appartiene e senza l’autorizzazione della quale non può essere utilizzato da chi non ha alcuna titolarità».
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