Accoglienza calorosa ma in sordina per i nuovi sciuscia palermitani pronti a ridare lustro a un mestiere scomparso da tempo. Dopo il clamore iniziale per i nove lustrascarpe della cooperativa ShoeShine 2.0 è arrivato, infatti, il momento di confrontarsi con il mercato. Le prime settimane – l’inaugurazione ufficiale risale al 21 giugno – sono trascorse tra gli apprezzamenti e i complimenti, ma anche tra la ‘diffidenza’ della gente. E complice il periodo dell’anno non proprio favorevole – d’estate in pochi indossano scarpe di cuoio – è stata una partenza in salita.
«Un bilancio? È ancora troppo presto» riconosce Patrizia La Rosa, 58 anni, mamma di due figli di 33 e 26 anni, che dal 1982 al 2012 ha lavorato come addetta alla segreteria e all’amministrazione in aziende di informatica e, dopo quattro anni di stop, ora con la sua postazione mobile si posiziona davanti al tribunale. «In questo momento con il caldo non ci si può aspettare chissà quale risposta», mentre l’accoglienza è stata «positiva». «È una novità agli occhi dei palermitani che hanno accettato con entusiasmo il ritorno di un antico mestiere e non smettono di farci complimenti». Ma fare digerire questa abitudine non è facile, all’inizio in molti tentennano. A spingere i primi clienti spesso è la curiosità. «La prima settimana è stata quella dei complimenti e richieste di informazioni» conferma Sebastiano Alicata, 45 anni, sposato e papà di due ragazze: per 23 anni è stato un impiegato amministrativo in uffici notarili e per due anni ha cercato lavoro, ma inutilmente.
«A forza di sentirsi ripetere ‘lei è troppo qualificato per la mansione che stiamo cercano’ il sorriso sparisce – ammette Sebastiano – Da febbraio, invece, da quando mi hanno comunicato che ero stato scelto, ho scoperto un mondo che nemmeno immaginavo». Altre volte, le persone si siedono guidati dalla nostalgia, quando da piccoli accompagnavano i genitori. Il più delle volte si tratta di uomini, ma non mancano le eccezioni: «Il mio primo cliente è stata un’architetta – dice Sebastiano – talmente soddisfatta che è tornata portando alcune borse da riparare». Gli sciuscia 2.0, infatti, trattano qualunque articolo in pelle: dalle scarpe alle tracolle, dalle cinture agli zainetti, persino il braccialetto di un orologio in camoscio. Ma se da un lato i lustrascarpe possono fare affidamento sulle nuove tecnologie – possono essere contattati sui social come Facebook, Twitter, Instagram -, la vera risorsa rimane il passaparola.
«Dalla seconda settimana – sottolinea Sebastiano – ho iniziato a lavorare con una media di circa 3-4 clienti al giorno più le varie riparazioni». A fargli eco è Patrizia: «Quando capiscono che è un lavoro più professionale rispetto al passato, rimangono spiazzati. Abbiamo seguito dei corsi con artigiani professionisti, trattiamo tutti i pellami ed effettuiamo anche la consegna a domicilio. A rotazione lo stesso cliente può venire una o due volte a settimana, forse perché i nostri trattamenti durano» ammette in tono scherzoso. Ma non sono mancati anche momenti ‘imbarazzanti’: «Alcuni uomini si sentono a disagio a essere serviti da una donna, ma penso che piano piano si scioglierà anche questo, è solo una questione di abitudine» si augura Patrizia.
Sul fronte logistico, le nove postazioni coprono la zona centrale della città, tutte autorizzate dal Comune di Palermo – via Libertà angolo via Archimede; via Libertà angolo piazza Castelnuovo; via Principe di Belmonte; via Magliocco, angolo Ruggero Settimo; zona Tribunale, via Volturno; piazza Don Bosco, angolo via D’Azeglio; via XX Settembre altezza civico 143; via Maqueda, piazza Bellini; corso Vittorio Emanuele, Villa Bonanno – e, in alcuni casi, proprio la via può fare la differenza. «La mia è stata una scelta ‘obbligata’ – rivela Patrizia che lavora tra i tavolini del bar Sanremo in piazza Vittorio Emanuele Orlando – perché la postazione è ingombrante e non si può trascinare per lunghi tragitti. Forse i posti più avvantaggiati sono le zone più centrali, ad esempio via Libertà e via XX Settembre». E ricavi? «Non sono ancora soddisfatta, ma spero che la situazione migliori: stiamo seminando adesso per raccogliere i frutti dopo l’estate».
Per Sebastiano, invece, la posizione c’entra fino a un certo punto e conta «anche saperci fare». «I primi tempi sono stati durissimi, ti sentivi scoraggiato, non si fermava nessuno. Nel momento in cui coinvolgi le persone, fai una battutina – ‘la prima cosa che guarda una donna in un uomo sono le scarpe’ – li invogli a sederti. Se ci sai fare, prima o poi i risultati arrivano». In alcuni casi, seppur sporadici, sono arrivate anche critiche: «Soprattutto all’inizio c’è stata diffidenza e pregiudizio e, soprattutto sui social, abbiamo ricevuto commenti pesantissimi: ‘siete servi dei politici’, ‘accettate un lavoro che vi rende schiavi’, ‘chi ve lo fa fare di pulire le scarpe ai potenti’. Fortunatamente è durato poco ma spiace vedere che alcuni non valutino più la possibilità di guadagnare onestamente. A questi vorrei rispondere che ‘io sono il sorriso delle persone quando si alzano dalla sedia guardandosi le scarpe: dal basso riesco a dare loro felicità».
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