Un’assemblea generale con tutte le componenti della docenza dell’Ateneo e cinque giorni (dal 5 al 9 luglio) di mobilitazione nazionale. Inizia a prendere forma la protesta dei ricercatori contro l’applicazione del Ddl Gelmini che verrà presentato alle Camere, con molta probabilità, prima della pausa estiva. A Catania la protesta, per stessa ammissione di chi si occupa del coordinamento locale, è partita in ritardo e a fare da apripista è la facoltà di Scienze Matematiche fisiche e naturali.
Mercoledì, durante un’assemblea molto partecipata organizzata dal collettivo della Facoltà, si è fatto il punto sui rischi che si corrono già a partire dalle sessioni di esami di profitto e laurea di luglio. Gli organizzatori, infatti, si sono detti favorevoli al blocco di esami e didattica per appoggiare la protesta dei ricercatori.
I rappresentanti degli studenti hanno illustrato ai colleghi la situazione dei vari dipartimenti: il rischio che, con il ritiro delle disponibilità dei ricercatori (“terza fascia” della docenza), si fermino diversi corsi è reale. A questa, che non è più un’azione paventata visto che stanno arrivando le prime comunicazioni ufficiali, si aggiunge il rifiuto da parte dei docenti di prima e seconda fascia a coprire le cattedre “scoperte”. Il prof. Antonino Foti spiega come – contrariamente a quanto comunemente si pensa – ad un maggior numero di cattedre non corrisponda uno stipendio più sostanzioso. Inoltre, con il blocco del turn over, chi dal prossimo Anno Accademico andrà in pensione lascerà un “buco” all’interno dell’organico, con un aggravio di spese a danno dell’Ateneo.
A chi contesta che i corsi sarebbero in salvo dopo il ritiro delle disponibilità con l’indizione di nuovi bandi, risponde Arturo Giunta, rappresentante degli studenti: «Far partire i corsi è facile, basta fare un concorso e sostituire chi protesta con un crumiro. Ma la qualità che fine farebbe?».
Le azioni di protesta ufficiali sono già in atto a Scienze: durante il Consiglio di Facoltà del 3 giugno è stato approvato l’invito ai «docenti (Ordinari, Associati e Ricercatori) ad astenersi dallo svolgimento, sia a titolo gratuito che a titolo retribuito, di incarichi didattici non obbligatori». Durante l’ultima seduta è mancato il numero legale dopo l’abbandono dei docenti, mentre il presidente di struttura didattica di Fisica non è stato eletto per protesta.
Francesco Porto, direttore del dipartimento di Fisica, è pacato nei toni, ma non per questo è meno determinato: «Abbiamo subito un taglio del 30% dei fondi. Questo va contro ogni ipotesi di miglioramento. Un segnale forte dovrebbe venire dalla Crui (la Conferenza dei rettori). Se si dimettessero i presidenti dei dipartimenti locali non se ne accorgerebbe quasi nessuno, ma se i rettori minacciassero un’azione simile sarebbe un segnale forte». A tal proposito il docente ha chiesto al rettore Antonino Recca «più coraggio nel portare avanti le nostre richieste. È stato eletto da tutti noi».
Per Alessandro Pluchino, ricercatore del Dipartimento di Fisica e tra i coordinatori della protesta, l’azione deve essere di bottom up, per utilizzare un linguaggio abituale per gli studenti che hanno assistito all’assemblea: «Partendo dai singoli dipartimenti dobbiamo arrivare alla Crui, coinvolgendo il maggior numero di consigli di facoltà possibile. Il blocco della didattica e degli esami è finalizzato a mandare un messaggio verso l’alto, non a danneggiare studenti e ricercatori, ossia le parti più deboli».
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