Sciacca, dietro le dimissioni del sindaco

A Sciacca la tradizione impone al sindaco di capeggiare la processione della Madonna del Soccorso, patrona della città. E’ stato questo l’ultimo atto al quale Vito Bono non si è voluto sottrarre. Ventiquattro ore dopo avrebbe rassegnato le sue dimissioni. Un ultimo adempimento, la processione, che è un po’ il paradigma della crisi politica. Un modo, da parte del sindaco, di affidare alla Madonna la città nel futuro. Un futuro che non lo vedrà protagonista.
“Torno a fare solo il medico”, ha detto Bono in una conferenza stampa nella quale non ha nascosto amarezza e un po’ di commozione. Ha voltato le spalle al palazzo, Bono. Ha chiuso con la politica. E pensare che appena due anni e mezzo fa aveva stravinto le elezioni amministrative al primo turno e con il 52% dei voti, sbaragliando gli avversari.
Nella sua conferenza stampa di commiato Vito Bono dalle scarpe si è tolto non dei sassolini, ma degli autentici macigni. Lo ha fatto attaccando tutti, a partire dai suoi stessi alleati: il Pd, Fli, l’Api. “Per due anni e mezzo mi hanno massacrato”, ha detto. Evidenziando che ha subito le pressioni di quella politica dei partiti che non lo hanno mai lasciato in pace, chiedendo, pretendendo, costringendo, pressando, criticando pubblicamente. Bono non ha retto più, ha gettato la spugna. Nelle sue critiche ha risparmiato soltanto l’Mpa. Il partito di Raffaele Lombardo lo ha difeso fino alla fine, cercando di convincerlo a resistere e a restare in sella. Ma Bono aveva già deciso. Perfino il suo più fidato consigliere, Enrico Di Benedetto, giovane avvocato, ha insistito: “Andiamo avanti, andiamo avanti”. Niente da fare. Vito Bono ha somatizzato i problemi, subendone conseguenze perfino sul piano fisico: “Sto male, non ce la faccio più”.
Eppure aveva avuto tanta buona volontà nell’estate del 2009 quando, giocando d’anticipo, si candidò alla guida di una città che proveniva da un’amministrazione di destra accusata di aver incentrato il percorso politico sui lustrini e sulle paillettes. Si candidò e stravinse le elezioni. A sostenerlo il Pd, l’Mpa e alcune liste civiche, una delle quali poi si sarebbe trasformata nel Fli di Gianfranco Fini. Nel frattempo, il gruppo di Nuccio Cusumano è uscito dal Pd aderendo all’Api. L’unico che non aveva un partito era proprio lui: il sindaco. Indipendente di sinistra, aveva dietro le spalle delle esperienze da consigliere comunale. Pensava che amministrare fosse un’avventura esaltante. Sennonché sin da subito ha dovuto letteralmente combattere con la partitocrazia.
Problemi su problemi: dalla spartizione delle poltrone della giunta ad una crisi economica senza precedenti, che nel 2011 è culminata con lo sforamento del patto di stabilità. Bono ha sempre spiegato i problemi con i conti ereditati dal passato: 7 milioni di debiti fuori bilancio. Debiti da pagare, anche perché la Corte dei Conti ha diffidato più volte il Comune a onorare i debiti. Primo debito fuori bilancio giunto all’esame del Consiglio comunale: 700 mila euro di risarcimento ad una ditta che nel 1991 aveva subito gravi danni dall’esondazione di un torrente, fino ad allora mai messo in sicurezza dal Comune. Un debito come un altro? No, perché il beneficiario del megarisarcimento era il suocero del sindaco. Comune condannato da un Tribunale a pagare. Eppure è successo il finimondo.
Vito Bono è stato accusato di aver dato una corsia preferenziale a quel debito. Una vicenda che ha registrato duri attacchi al sindaco, costretto perfino a sporgere querele su querele. Poi i problemi della vita amministrativa. Frane e crolli che hanno messo in ginocchio una intera città, mancanza di disponibilità economiche per poter fare investimenti. Eppure Bono è riuscito ugualmente a intercettare un bel po’ di finanziamenti dell’Asse 6 (fondi europei). I nastri saranno inaugurati prossimamente. Non sarà lui, però, a tagliarli.

 

Massimo D'antoni

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