«Schediamoli tutti»

«Venga Onorevole, prego si accomodi, mi dia il pollice della mano destra e il medio della sinistra, deve calcarli qui nell’inchiostro. Bene così, bravo, ora una spinta un po’ più vigorosa. Perfetto, abbiamo finito. Adesso lei è registrato. Arrivederci. Avanti il prossimo!»

Certo immaginare una scena così: il parlamentare italiano in fila per farsi prendere le impronte digitali – è irresistibile. Perché poi la mente volerebbe ai film poliziotteschi degli anni settanta o a quella scena in cui Rambo si oppone all’inchiostro blu della cattivissima centrale di polizia. Però non è poi così favoleggiante come sembra, perché la notizia (notizia?) è proprio della settimana scorsa. Si parla dell’annosa, snervante, frustrante, primaria lotta contro la piaga dei “pianisti”: ovvero quei furbastri in doppiopetto che alla Camera barano col sistema di voto, intrufolando le mani sulla pulsantiera del compagno di banco assente. Ma spieghiamo nel dettaglio:

Quando il Parlamento è pronto per votare la legge del giorno, i presenti in aula debbono inserire la segretissima scheda con la preferenza in una fessura posta proprio dietro alla capoccia del deputato sottostante. Poi, col pollice destro, va premuto un pulsante per la conferma (verde sì, rosso no, bianco astensione). Così, è in questo frangente che entra in gioco il “pianista”: non certo un collega di Mozart, ma piuttosto lo scaltro che vota per l’amico assente ingiustificato. Un po’ come quando si firma la presenza per il compagno di università che ha “caliato” la lezione.

Ecco che è in questi casi che il Parlamento si riscopre unito: “sconfiggere i pianisti” è l’augurio di tutte le parti. Una proposta salvagente era arrivata da Fini proprio all’indomani della sua sistemazione sullo scranno di Presidente della Camera. “Perchè non troviamo un modo per far votare con entrambe le mani?” – suggeriva volpesco il presidente della Camera. Praticamente due pulsantiere: una per votare, l’altra per confermare il voto. Un metodo che – salvo genialate del tipo: onorevole col braccio posticcio che infinocchia tutti e spinge più pulsanti – poteva rischiarare il cielo minaccioso sulla rotta del Transatlantico. Ma fu giudicato troppo lento ed elaborato. “Sono solo politici, mica ingegneri” qualcuno avrà pensato.

E allora, chiusisi in assemblea plenaria, gli uomini del presidente hanno raggiunto il guizzo di cui si parlava in apertura. Perché non prendere le impronte digitali ai deputati? E memorizzarle in un microchip incastonato nella tessera di ciascun membro? In quel modo la scheda sarà inserita nella tastiera che verrà abilitata solo se riconoscerà l’impronta del legittimo titolare. All’interno dell’equipe della Presidenza han detto che già si fa in Messico e in Albania. Bene così. Ma è il costo irrisorio ciò che sembra convincere i nostri eroi che si è sulla strada giusta: solo 500 mila euro, non centesimo in più né in meno. Dunque un affarone no? Chissà se elaboreranno anche un modo per far finanziare il chip con l’8×1000. E’ un’altra idea. Geniale.

Riccardo Marra

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