Scenario pubblico, «infezione creativa» riuscita Dalla danzatrice à la Tim Burton al marranzano

Riparte per il secondo e ultimo appuntamento il Fic fest, il festival di danza con cui il coreografo Roberto Zappalà ha dato spazio a un’inversione di ruoli creativa e contagiosa. A esibirsi per primo è il collettivo Quei bravi ragazzi di Alain El Sakhawi, Valeria Zampardi e Fernando Roldàn Ferrer. Si ispira al linguaggio del cinema trasferendolo nella danza. In scena La Citè des tiroirs, una sorta di ricerca dell’isola che non c’ è. Due ballerini: lui dorato e sgargiante, lei sembra disegnata dal regista Tim Burton. Tacchi, raramente visti sul palco; tutù nero, per ricordare che è sempre danza; pellicciotto rosso-nero, che sottolinea l’atmosfera. Una danza a tratti robotica, che coinvolge persino bocca e denti. Quasi a dire che la danza contemporanea più che riproporre passi ne crea di nuovi. Una dimensione psichedelica in cui, però, come spesso accade a Scenario pubblico, il marranzano rende protagonista e presente la sicilianità.

Ma per poter ammirare le linee e l’estetica della danza occorre aspettare la seconda performance e l’ingresso in scena di Ilenia Romano, nella doppia veste di coreografa ed esecutrice dell’assolo Agogica dell’accumulazione di atomi discordi. Un titolo complicatissimo per un’esibizione essenziale e di grande effetto. Romano stupisce danzando a terra per la prima parte dello spettacolo e rivelandosi capace di paralizzare parte dei propri arti per muoverne solo alcuni, di cui valorizza ancor di più la fisicità. Tutto in pieno stile Zappalà: minimalismo musicale e coreografico che lasciano spazio a linee e tecnica. Infatti, quando la danzatrice si alza in piedi e si esprime nella sua totalità, la danza letteralmente esplode. O per dirla come si farebbe al tavolo di un bar: non ce n’è per nessuno.

Il Fic fest si chiude con The fields of wonder di e con Gaetano Badalamenti. Protagonista stavolta è un volatile. Avvolto da un involucro si svela piano piano con la propria potenza. È l’essere vivente che per antonomasia vive in gruppo ma cerca anche un proprio spazio. I passi sono quelli dell’uccello, che gira, fluttua, saltella con la precarietà propria delle zampe. Fino a lasciarsi morire, lentamente. È l’ultima coreografia e ci si sente infettati: la contaminazione creativa è riuscita.

Antonia Maria Arrabito

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