Scelto da facebook/ La storia capovolta: gli americani che, nel 1943, hanno liberato la Sicilia…

UN CONVEGNO STORICO PER CELEBRARE GLI USA CHE CI HANNO DONATO LA LIBERTA’. RINGRAZIO PER L’ESCLUSIONE

di Giuseppe Carlo Marino

Ho appreso, quasi casualmente, di un ambizioso Convegno di storici organizzato e svoltosi a Palermo, ieri e l’altro ieri, sullo sbarco degli angloamericani (1943) in Sicilia, una quasi certa sviolinata americanista condita da seriose argomentazioni “scientifiche”, con un menu non saprei dire quanto coerente con l’argomento ufficiale al quale si è intitolata la manifestazione. E con un parterre ovviamente sotto tutela istituzionale: i presidenti della Regione e dell’Assemblea regionale e il rettore dell’Università, con l’immancabile ornamento di alcuni studiosi settentrionali e stranieri amabilmente utilizzati quali ignari garanti del sapere casareccio dei “regi storiografi” di Sicilia . Leggo dal programma che nel Convegno si è cucinato un eterogeneo materiale di memoria storica: i fatti militari dal nord Africa con un ovvio e sottile compiacimento per la sconfitta italiana di El-Alamein considerata come evento anticolonialista; la proba soddisfazione per la “fine dei fascismi” a seguito di generosa donazione di virtù e di sangue degli eserciti americani forieri di un “nuovo mondo”; la ferma evocazione-riprovazione degli eccidi compiuti dai tedeschi, senza dimenticare, com’era meritoriamente obbligatorio, l’Olocausto degli ebrei; e, poi, in salse di vario sapore euro-siculo-mediterraneo, la “mistica del martirio”, la “liberazione del popolo algerino” e di quello tunisino, qualche eccentrico ingrediente di Europa orientale sul “caso romeno (sic!)” e, naturalmente, ritornando agli ingredienti di casa, la nascita dell’autonomia siciliana; ed altro ancora. Ma niente sull’antifascismo sociale, niente sulle forze politiche e ideali che lo avrebbero fatto maturare in una guerra di classe del popolo siciliano contro la mafia rimessa al potere proprio dai “liberatori” americani; e niente sull’imponente e decisiva azione dell’Armata rossa contro il nazifascismo; e niente (neppure un cenno!) sulla RESISTENZA e sul valore oggettivamente “resistenziale-antifascista” che già stava assumendo la lotta dei contadini siciliani contro la mafia (contro i latifondisti e i gabelloti) su linee di sviluppo politiche e sociali del tutto alternative alle scelte oggettivamente neoimperialistiche degli Usa. E NIENTE, OVVIAMENTE, SULLE STRAGI COMPIUTE DAGLI AMERICANI, stragi sottovalutate e ignorate come al solito, e come da copione (si veda, in proposito il mio “La Sicilia delle stragi”, edito da Newton Compton). Di quest’ultimi argomenti, se me ne fosse stata data l’opportunità, avrei volentieri parlato, offrendo forse un contributo di qualche spessore alla rivisitazione critica degli effetti di quello “sbarco”, sulla scorta di un quarantennio di studi dedicati alla storia della Sicilia e alla storia del potere in Italia. Ma non si è voluto darmene l’opportunità. Dal loro punto di vista hanno fatto bene. Evidentemente avrei reso indigesto quel loro menu sicilianistico-americanista, avrei messo in crisi i “regi storiografi”, avrei imbarazzato i notabili del parterre istituzionale, avrei svelato agli ignari garanti stranieri il loro ruolo meramente esornativo e strumentale. Una certa Sicilia, è il caso ancora una volta di riconoscerlo, mi costringe sempre alla tentazione di rivendicare l’amara fierezza che è implicita nel detto “Nemo profeta in patria”. E’ una tentazione alla quale comunque mi sottraggo per i doveri di modestia che competono agli studiosi, e ai ricercatori di verità .

Redazione

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